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CANTONE«Non ci troviamo di fronte a un mostro»

20.12.18 - 12:36
Nel processo per maltrattamento sui figli hanno preso la parola i difensori. Nel frattempo al banco degli imputati è rimasta solo la madre. Consorte e suocero sono assenti non giustificati
tipress
«Non ci troviamo di fronte a un mostro»
Nel processo per maltrattamento sui figli hanno preso la parola i difensori. Nel frattempo al banco degli imputati è rimasta solo la madre. Consorte e suocero sono assenti non giustificati

LUGANO - «Non è un mostro, non è una madre snaturata». È con queste parole che l’avvocato Pascal Cattaneo ha esordito, stamattina, in difesa della donna di 38 anni che tra l’estate del 2015 e l’inizio del 2017, nel Mendrisiotto, in sei occasioni avrebbe tentato di uccidere i figli. Donna che oggi è rimasta sola al banco degli imputati: gli altri due membri della famiglia (il consorte di 33 anni e il suocero), accusati principalmente di non essere intervenuti in difesa dei bambini, non si sono infatti presentati. Per loro il dibattimento è allora proseguito in contumacia.

Davanti alla Corte delle Criminali, l’avvocato Cattaneo ha sottolineato che la sua assistita «ha commesso dei fatti imperdonabili». Ma nel suo intervento ha fatto leva sulla perizia psichiatrica, che nella 38enne ha rilevato un ritardo mentale lieve e una conseguente difficoltà nella gestione di situazioni intense. «Questo non giustifica quanto accaduto, ma lo spiega: è una persona, una madre, una moglie che non aveva gli strumenti adeguati per affrontare le difficili circostanze familiari, a causa delle sue problematiche intellettive, affettive e psichiatriche». Il legale, ritenendo pertanto che la donna non voleva uccidere nessuno poiché non era in grado di comprendere la messa in pericolo delle vittime, auspica in particolare l’assoluzione dall’imputazione di tentato omicidio intenzionale. E una pena di al massimo quattro anni di detenzione.

Il marito? «Difendeva i bambini» - A favore del padre e consorte di 33 anni, l’avvocato Stefano Camponovo ha sottolineato: « Ogni volta che metteva le mani addosso alla moglie era per difendersi o per difendere i bambini, oppure delle volte perché non ci vedeva più». Il suo assistito sarebbe dunque stato dalla parte dei figli. Anche considerando che documentava la situazione scattando fotografie dei lividi. Immagini, queste, che a mente dell’accusa sarebbero state uno strumento di ritorsione nei confronti della moglie. Ma per il legale «mostrano che non può non esserci stata almeno l’intenzione di sporgere denuncia». E ha chiesto che la pena nei confronti del 33enne sia contenuta in due anni, sospesa per un periodo ci cinque anni. Per l’avvocato, inoltre, l’odierna assenza non giustificata dell’imputato non sarebbe sufficiente per stabilire una condanna superiore.

L’avvocato Marco Masoni, difensore del suocero e nonno paterno dei bambini, aveva preso la parola già al termine della prima giornata di dibattimento, chiedendo il proscioglimento del suo assistito. «Gli si può rimproverare di non aver avuto il coraggio di segnalare la situazione - aveva sottolineato - ma non è mancato il suo dovere di assistenza o educazione».

Il carcere per tutti e tre - L’accusa, rappresentata dalla procuratrice pubblica Valentina Tuoni, aveva invece chiesto il carcere per tutti e tre gli imputati, pur non opponendosi alla sospensione con la condizionale per il nonno. Nello specifico aveva proposto una pena detentiva di nove anni nei confronti della madre, di quattro per il padre e di due per il nonno. «Quei bambini vivevano in un clima di privazioni, violenza e paura» aveva detto la procuratrice.

La Corte, presieduta dal giudice Mauro Ermani, comunicherà la sua decisione domani, venerdì 21 dicembre, a partire dalle 14.30.

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