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Nicolò Govoni: il ragazzo che cambia il mondo un bambino alla volta

L'attivista italiano sarà ospite alla Supsi di Manno per presentare il suo ultimo libro "Altrove".
L'attivista italiano sarà ospite alla Supsi di Manno per presentare il suo ultimo libro "Altrove".

«Un bambino alla volta, un sorriso alla volta: è così che si cambia il mondo». Un aiuto che si perde come una goccia nell'oceano oppure un sostegno indispensabile che può sconvolgere l'esistenza di una persona? Coraggio, determinazione e ambizione non mancano a Nicolò Govoni, scrittore e fondatore dell’Ong Still I Rise: un'organizzazione umanitaria creata nel 2018 che ha permesso a migliaia di ragazzi di poter accedere a un’istruzione di primo livello. Profughi, sfollati oppure bambini che hanno subito traumi, vengono accolti nei centri educativi dove possono tornare a sperare in un futuro migliore.

L’attivista per i diritti umani, originario di Cremona, sarà presente questa sera, 16 di novembre alle 18.00, alla Supsi di Manno per presentare il suo ultimo libro “Altrove”. «Tutto è iniziato a Samos, in Grecia: tre volontari davanti alla grande crisi migratoria siriana», ci ha raccontato Govoni. «Eravamo scioccati da come le autorità stessero mancando di fare il loro dovere. Abbiamo quindi deciso di rispondere mettendo in gioco le nostre professionalità. Così è nata la prima scuola di emergenza a Samos. È stato un punto di svolta. Non solo abbiamo avuto modo di accogliere tanti bambini in quel contesto e offrire educazione, protezione, alimentazione e cure sanitarie. Ma abbiamo anche avuto l'opportunità di perfezionare il nostro modello educativo. Ci siamo trovati e ci siamo chiesti: Qual è la scuola che avremmo voluto frequentare noi da ragazzini? Abbiamo trascorso gli ultimi cinque anni ad affinare, implementare e correggere questo modello educativo nelle varie scuole».

Still I Rise

Quante volte hai dovuto affrontare il negativismo di chi ti dice “tanto è impossibile”?
«Di continuo! Non c'è mai stato un obiettivo di Still I Rise che fosse facilmente attuabile. Siamo senz'altro una realtà molto ambiziosa. Fin dall'inizio ogni passo ci è sembrato gigantesco. Potete immaginare le facce che vedevo quando parlavo del progetto di aprire la prima scuola internazionale al mondo. E invece ci siamo riusciti. Abbiamo lasciato di stucco anche persone che nella cooperazione internazionale lavorano da tanti anni. Questo senz'altro ci ha dato la conferma che l'impossibile non esiste che non c'è niente che non si possa fare con forza di volontà e un'organizzazione solida».

Still I Rise ha l'ambizione di portare un modello di apprendimento nuovo, un approccio diverso, cosa significa?
«Noi non facciamo scuole per i poveri. È un’incomprensione comune. Al momento siamo in Kenya, in Congo, in Siria, in Yemen e stiamo aprendo in Colombia. Quello che stiamo facendo principalmente è aprire centri di ricerca. Abbiamo l'opportunità di testare il nostro modello ogni giorno e raccogliere dati, analizzarli per poi raffinare i metodi. Un approccio che si contrappone a quello tradizionale, perché anziché essere basato sulle nozioni, è basato sulla persona. È un modello olistico di educazione e che ha come obiettivo quello di creare eccellenza: formare una classe dirigente nuova tra quei bambini esclusi a priori.

Still I Rise

Quali sono i pilastri di questo modello?
«Nello specifico è un modello che si struttura su quattro pilastri. Il primo è la scuola e casa. La parola chiave di questo pilastro è bellezza. Il secondo pilastro è lo studente al centro. Parola chiave democrazia. Il terzo pilastro è: l'insegnante è mentore; parola chiave: famiglia. L'ultimo pilastro è il pensiero globale e la parola chiave è la libertà. Questi quattro pilastri vanno a creare una scuola che punta ai valori prima che ai contenuti. Bisogna dare all'individuo una fiducia in se stesso, delle fondamenta solide a sufficienza da potergli permettere di apprendere in modo efficace, strutturato e duraturo. I risultati sono certo importanti. Durante la presentazione di questa sera svelerò i nostri dati d'impatto dopo cinque anni di analisi per metterli a confronto, anche come provocazione, con i dati d'impatto del sistema scolastico italiano. Voglio far vedere quanto sia gigantesca la discrepanza tra i due metodi».

Ogni bambino deve avere il diritto di poter accedere a un'educazione di livello. Perché questo obiettivo è ancora così lontano?
«Quando si parla di scuola la conversazione è estremamente falsata. Da un punto di vista dei paesi più svantaggiati ci concentriamo sull'accesso all'istruzione (una cosa ovviamente più che giusta). Sono 250 milioni i bambini che non possono andare a scuola. Per i paesi invece più avvantaggiati parliamo di infrastrutture. Entrambi questi discorsi sono validi, ma mancano l'obiettivo. L'istruzione è purtroppo un argomento molto sofisticato che non si limita ai soldi.

Still I Rise

Perché è un problema che non può essere risolto con il denaro?
«In aggiunta ai 250 milioni di bambini che non hanno accesso a scuola, ci sono 400 milioni di bambini che, pur andando frequentando le lezioni, non raggiungono le competenze minime per leggere e scrivere. Significa che le mura, il tetto e la lavagna non sono sufficienti. Questo purtroppo non piace molto, perché vuol dire che le donazioni da sole non bastano. Lo stesso discorso vale anche per quanto riguarda il nord del mondo. Il focus viene posto molto sulla tecnologia. È uno strumento che aiuta all'apprendimento, ma non c'è uno studio conclusivo che confermi che la tecnologia contribuisca in modo sostanziale all'istruzione. È un problema che riguarda un cambio di mentalità. Un obiettivo forse più economico, è molto più difficile da attuare».

Spazio ora al tuo ultimo libro. In "Altrove" tratti i pregiudizi verso l’altro, verso il diverso. Come si combattono? 
«Con la conoscenza, la comunità e il senso di stare insieme. Penso che sia una minoranza molto forte quella del razzista con la R maiuscola che odia gli stranieri. A pochi non gli si gonfierebbe il cuore tenendo in braccio un neonato senegalese. È una reazione umana, biologica; non è una questione culturale. La risposta di tenerezza di fronte agli esseri umani indifesi è istintiva. Le persone devono essere messe in contatto, devono poter vedere l'altro e capire che non è così diverso. L'unica soluzione è la conoscenza, l'esperienza diretta dell'altro che permette l'inclusione vera».

Still I Rise

Le guerre, i conflitti, le crisi (anche ambientali) alimentano la paura e l’indifferenza verso gli altri. Perché é così difficile oggi abbattere queste barriere?
«Il mondo dei social ha accentuato queste divisioni. Abbiamo sviluppato un piacere perverso nella faziosità. Ci piace la dialettica del “noi contro di loro”. La realtà ci viene proposta come duale. Penso che ci sia una mancanza di identità tale nel mondo di oggi, per cui non sappiamo chi siamo. Non sappiamo a chi appartenere al punto tale che ci serve il nemico per saperci identificare. Questo è pericoloso perché la realtà spesso e volentieri non è duale, è molto più complessa. Si può vedere con il conflitto in corso a Gaza: è come se fossimo allo stadio. È importante cercare di andare in profondità anche quando è scomodo».

“Una persona alla volta, un sorriso alla volta. È così che si cambia il mondo”. Come si innesca il cambiamento?
«È il nostro motto: un bambino alla volta. Quando si parla di crisi umanitarie i numeri sono impressionanti e ci si sente scoraggiati. È per questo che ci concentriamo sull'individuo. Quando si cambia la vita di una persona, si stravolge un mondo. È un impatto radicale su quella vita. Inoltre è impossibile prevedere l'eco che quel cambiamento potrà avere. Noi abbiamo l'onore di offrire un percorso di studi che finora era esclusivo. Non sai mai che impatto potrà avere un bambino sul mondo, che eco potrà produrre nella tua vita. A volte cambi una vita, ma nel farlo ne cambi magari migliaia».


Appendice 1

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