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Quando la scalata ha il sapore della libertà

L'alpinista iraniana Nasim Eshqi racconta il coraggio e la forza di chi ha deciso di non rimanere in silenzio di fronte alle violenze.
L'alpinista iraniana Nasim Eshqi racconta il coraggio e la forza di chi ha deciso di non rimanere in silenzio di fronte alle violenze.

Lo smalto sgretolato sulle unghie, i capelli liberi di seguire il vento e la forza di spingere il corpo oltre i propri limiti che solo chi ha il coraggio di osare conosce. L’alpinista iraniana Nasim Eshqi, presente ieri all'Università della Svizzera italiana (USI) di Lugano durante la proiezione del documentario “Climbing Iran” in occasione del Middle East Mediterranean Summer Summit (Mem), è diventata il simbolo delle donne che lottano ogni giorno per i propri diritti.

Un documentario realizzato nel 2020 grazie alla regista Francesca Borghetti che con il tempo ha costruito un legame di amicizia molto forte con la protagonista. «È stato un colpo di fulmine. Un giorno leggendo il giornale mi sono imbattuta nella sua storia e sono rimasta colpita. Un'alpinista iraniana che apre vie sulle montagne con i capelli al vento, un'immagine che mi ha riempito di domande», ci ha confidato Borghetti. «Se devo indicare un aspetto che più mi ha impressionato di lei non posso che menzionare la sua forza. Durante la raccolta fondi per il documentario sono sorte molte problematiche a causa della sua nazionalità. In un momento di sconforto è stata lei a spingermi a continuare. Insieme ci siamo sostenute a vicenda».

Climbing Iran

 «L’unica donna iraniana capace di aprire nuove piste sulla montagna». Una pioniera dell’alpinismo nel suo paese d’origine. Ma non solo. Dall’inizio della rivoluzione, scoppiata in seguito della brutale uccisione di Mahsa Amini, Nasim non è rimasta in silenzio. Perché in fondo «la montagna è la metafora della vita». E allora il muro da scalare non è più solo fisico. «Il mio paese si chiama Repubblica islamica dell'Iran. Significa che le donne devono coprirsi il capo, anche se sei una turista», ci racconta Nasim. E l'hijab Nasim Eshqi però non lo indossa più. L'alpinista iraniana, pioniera nell'arrampicata all'aperto, ha aperto una nuova strada. 

In montagna tutti sono uguali, non importa se uomo o donna, ricco o povero. Cosa si prova?
«La forza di gravità porta giù tutti allo stesso modo e questo mi dà un grande senso di libertà e uguaglianza. In montagna tutte le sensazioni di disuguaglianza spariscono. Tutti siamo uguali. Nessuno ti impedisce di fare qualcosa per via di un passaporto oppure per l’orientamento sessuale. Questa è l’emozione che ho scoperto in montagna e dalla quale, progressivamente, sono diventata dipendente. Ho trovato il mio posto. In alto, a migliaia di metri dal livello del mare, nessuno mi giudicava».

Una sensazione che non ti ha più abbandonata e che ti ha spinto a lottare per i tuoi diritti. 
«Lo sport mi ha dato l’adrenalina e la forza che cercavo. La sensazione di poter scalare una montagna, di andare oltre i miei limiti è unica. Mi sono detta: Sono capace di fare qualcosa di straordinario”. Questi pensieri mi hanno dato una confidenza estrema. Ogni volta che tornavo a casa mi portavo con me queste emozioni che continuavano a crescere. Questa è la forza che mi trasmetteva la montagna».

Climbing Iran

Cosa è cambiato quando è scoppiata la rivoluzione?
«Quando hanno ucciso senza motivo la ragazza, che era innocente, ho sentito come se fosse capitato a me. Mi sono identificata con lei e con la sua sofferenza. Quando ero in Iran attraversavo spesso lo stesso edificio dove viveva. E secondo me questa sensazione l’hanno sentita il 99% di tutti i miei concittadini. I genitori hanno provato la stessa sensazione come se fosse successo alla loro figlia. I fratelli alla sorella. Tutti in Iran hanno potuto sentirlo sulla propria pelle. Tutti sono rimasti scioccati e nessuno è potuto stare in silenzio».

Eppure prima della rivoluzione avevi cercato di evitare le questioni politiche, come mai?
«Perché volevo parlare in modo positivo dell’Iran. Ma dopo quello che è successo non potevo rimanere in silenzio. Non volevo più stare più nell’ombra. In Iran ero silenziosa ma sempre molto attiva. Ho cercato di insegnare alle mie studentesse di trovare il coraggio per parlare. Il regime cerca di far passare l’idea che le donne non hanno lo stesso cervello degli uomini. E le donne ci credono. Nei miei corsi ho sempre cercato di sconfiggere queste false credenze. Quando ho avuto una certa visibilità ho iniziato un attivismo diverso. Avere una piattaforma senza usarla che senso ha?».

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Cosa rappresenta per te l'hijab?
«È una scatola chiusa che limita i tuoi movimenti. Quando i tuoi movimenti sono limitati anche il tuo cervello ne risente. Cercano di convincerti che tu come creatura devi proteggere il tuo corpo dagli uomini che ti vedono. Trovo che sia anche irrispettoso verso gli uomini. Perché porta gli uomini a un livello bassissimo. Vogliono le donne senza un’educazione e un’istruzione. Madri stupide non possono però crescere bambini intelligenti e questo è molto pericoloso».


Appendice 1

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