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Che fine hanno fatto pace e pacifisti?

Cortei per la pace ai tempi della guerra nel golfo. Oggi invece si discute solo interventismo. Manca il dissenso di massa per la guerra
Cortei per la pace ai tempi della guerra nel golfo. Oggi invece si discute solo interventismo. Manca il dissenso di massa per la guerra

A parole, tutti gli esseri umani vogliono vivere in pace, eppure il nostro mondo è dilaniato dalle guerre. In questa discrasia è riassunta tutta la fallibilità dell'essere umano, da sempre diviso tra alti ideali e bassi istinti.  C'è stato un momento storico, gli anni'60, in cui i sostenitori della pace si erano compattati in un movimento, i pacifisti, riuscendo a far sentire, ai potenti della terra, la voce di una gioventù che non voleva vivere in un mondo perennemente in conflitto. Ora, invece, che il sangue di tanti popoli continua a scorrere a causa di guerre atroci, questa voce è divenuta troppo flebile per essere percepita. In effetti, a differenza dei tanti che davano credito a tale movimento, ci sono sempre stati anche tanti detrattori, come Winston Churchill il quale disse che “un pacifista è uno che nutre il coccodrillo sperando che lo mangi per ultimo”, come se definirsi pacifisti equivalesse più all'essere pavidi che non a lottare per la pace.

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Spese militari alle stelle - La totale assenza di manifestazioni pacifiste in un tempo, come quello attuale, in cui il mondo si trova vicino al baratro di un nuovo conflitto mondiale, è stata esaminata in un recente articolo di Internazionale dove si è evidenziato come, secondo i dati pubblicati dall'istituto Sipri di Stoccolma, “il 2022 ha battuto tutti i record di spese militari”, pari a 2.240 miliardi di dollari che significano un aumento del 3,7% in termini reali rispetto allo scorso anno. Sempre secondo il rapporto annuale sugli arsenali strategici elaborato dall'Istituto svedese, le testate nucleari pronte all'uso sono aumentate, tra il 2022 e il 2023, di 86 unità su 9.576, con circa duemila tenute in stato di massima allerta.

In testa USA, Russia e Cina - Tra i Paesi che maggiormente hanno investito nei propri armamenti figurano gli Stati Uniti, la Cina e la Russia che hanno rappresentato il 56% della spesa militare globale. Anche in Europa le spese militari hanno subito un incremento del 13%, con aumenti più marcati in Finlandia, Lituania, Svezia e Polonia. In Francia la legge di programmazione militare 2024-2030 è aumentata del 40% rispetto alla precedente mentre in Germania raggiungerà il 4% del Pil. Anche il Giappone, in questo senso, sta subendo una trasformazione andando ad aumentare le proprie spese militari come mai era accaduto prima. Come affermato dal dottor Nan Tian, ricercatore senior del programma di spesa militare e produzione di armi del Sipri, “il continuo aumento delle spese militari globali negli ultimi anni è un segno che stiamo vivendo in un mondo sempre più insicuro. Gli Stati stanno rafforzando la propria forza militare in risposta a un deterioramento della sicurezza globale che non prevede dei miglioramenti nel prossimo futuro”. Davanti a un simile scenario, la nota veramente dissonante è che non si instauri un reale dibattito sul tema, e che non ci sia, né a livello locale che internazionale, qualcuno che contesti un tale stato di cose. Tutto tace e, come ironicamente fatto notare nell'articolo dell'Internazionale, “persino i verdi tedeschi sono i primi sostenitori dello sforzo militare”.

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Quando la guerra nel golfo scosse le coscienze di tutti - Eppure non bisogna andare troppo indietro nel tempo per ricordare che, il 15 febbraio 2003, si svolse, in quasi mille città, la prima manifestazione mondiale del movimento pacifista, durante la quale, oltre 100 milioni di persone in tutto il mondo dissero “no alla guerra senza se e senza ma”. All'epoca si era alla vigilia della seconda guerra del Golfo e Bush junior si apprestava ad abbattere il regime di Saddam Hussein denunciando il possesso, da parte del dittatore iracheno, di armi di distruzione di massa. Se anche questa enorme massa di persone non riuscì, di fatto, a fermare la guerra in Iraq, e la successiva invasione dell'Afghanistan, la manifestazione ebbe comunque il merito di denunciare l'ipocrisia delle cosiddette 'guerre di liberazione' dietro le quali, di solito, si nascondono più gli interessi economici che gli ideali politici dei Paesi in essa coinvolti. La manifestazione per la pace del 2003, si pone nel solco delle grandi manifestazioni pacifiste che, in tempi e con modalità diverse, hanno cambiato il corso della storia.

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La guerra in Vietnam madre del pacifismo internazionale - Basti pensare alle tante e affollate manifestazioni di piazza contro la guerra del Vietnam che si susseguirono negli Stati Uniti alla fine degli anni '60. Il 15 ottobre del 1969 segnò, in qualche modo, l'inizio del movimento pacifista su ampia scala, dato che migliaia di persone in diversi Stati americani gridarono slogan di protesta, e cantarono canzoni pacifiste, contro la sanguinosa guerra del Vietnam. Il 15 novembre dello stesso anno, cinquecento mila persone marciarono a Washington per lo stesso motivo. Dagli Stati Uniti il movimento pacifista prese vigore andando a diffondersi in Europa dove tantissimi giovani invocavano un mondo di pace e la fine di ogni conflitto.

Un abate il primo pacifista occidentale - Si può ben dire che il pacifismo, nella sua accezione filosofica di rifiuto della guerra, ha avuto uno sviluppo diverso a seconda dei momenti storici, rendendosi più o meno palese a seconda degli sconvolgimenti sociali e politici in atto. Anche se l'abate Charles-Irénée Castel de Saint-Pierre, autore nel XVIII secolo dell'opera 'Progetto per la costruzione di una pace perenne in Europa, viene considerato il primo vero pacifista occidentale, e le sue idee vennero riprese da autori ben più noti quali Jean Jacques Rousseau ed Immanuel Kant, bisogna arrivare ai primi anni del XIX secolo perché si abbiano le prime manifestazioni pacifiste, strettamente correlate con l'applicazione del principio della resistenza passiva e della non violenza, per rivendicare l'autonomia di paesi quali l'Ungheria, dominata dall'Austria, o della Norvegia che ottenne l'indipendenza dalla Svezia con mezzi esclusivamente non violenti.

La teoria della non violenza - La 'non violenza' è, infatti, un metodo di lotta politica connessa al pacifismo per il suo rifiuto di generare delle lotte armate per la difesa dei diritti. Tale principio venne teorizzato, negli anni'20 del Novecento, dal Mahatma Gandhi e applicato al movimento anticoloniale indiano, e successivamente ripreso da Martin Luther King per ottenere il riconoscimento dei diritti civili e politici della popolazione afroamericana che viveva discriminata e segregata. Gli esempi da citare sarebbero ancora molti, ma ciò che preme sottolineare è come l'idea di pacifismo fosse strettamente legata a quella di una pace giusta: il rifiuto della violenza e della guerra non era portato avanti in nome di un ideale evanescente e astratto, ma quale strumento ritenuto efficace per modificare concretamente le ingiustizie sociali.

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La grande lacuna - Ciò che manca, ai nostri giorni, è una movimentazione di piazza che prenda posizione, ad esempio, contro la guerra di invasione russa in Ucraina. Se da una parte, infatti, si sono levate poche voci contrarie all'invio di aiuti militari all'Ucraina, dall'altra non c'è stata una corale manifestazione di dissenso nei confronti della guerra voluta dalla Russia, fatta eccezione della coraggiosa resistenza di centinaia di cittadini russi che hanno sfidato le ire del regime, e affrontato la prigione, per affermare la propria contrarietà a questo conflitto armato. Stesso discorso può essere fatto, come detto in un interessante articolo della rivista Micromega, per altre guerre più recenti, come quella che ha devastato la Siria o lo Yemen, per non parlare poi dell'eterno conflitto armato esistente tra Israele e Palestina. Appare evidente una scoraggiante assuefazione a uno stato di cose che viene percepito come immutabile. Un flusso costante di notizie dipingono il mondo come violento e diviso, e davanti a questa realtà, più che provare paura e preoccupazione, si ritiene di non poter fare nulla. Tutto ciò va di pari passo con un costante allontanamento dall'impegno politico che, come visto, costituiva la base solida su cui poggiava il movimento pacifista. Un'assenza questa che pesa particolarmente in un mondo in cui si inneggia all'odio, sui social media così come nella vita quotidiana, e che avrebbe ancora bisogno di vedere una folla di persone che crede veramente in una società diversa.


Appendice 1

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