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Architettura e design, «un equilibrio tra praticità e poesia»

A colloquio con Patricia Urquiola, che sabato 16 settembre sarà tra i protagonisti di Endorfine Festival.
A colloquio con Patricia Urquiola, che sabato 16 settembre sarà tra i protagonisti di Endorfine Festival.
Un consiglio ai giovani aspiranti architetti: «Trovate la vostra passione-ossessione».

Domani pomeriggio alle 17.30 Patricia Urquiola sarà al Palazzo dei Congressi di Lugano per uno degli incontri del ricchissimo programma di Endorfine Festival, che prende il via questa sera. “La forma del pensiero” è il titolo della conferenza, nel corso della quale la designer e architetto di origine spagnola (ma milanese d'adozione) condividerà con il pubblico ticinese racconti, esperienze e la sua visione della professione e della vita.

In un'intervista ha spiegato che ritiene di aver fatto un buon lavoro quando si ottiene «una grande simmetria tra praticità e poesia». Ci può spiegare cosa intende?
«Tutti i progetti devono essere funzionali, ma spesso anche emozionali. Vivere a Milano mi ha aiutato in questo senso perché qui ci sono grandi creativi e pensatori che hanno una visione molto più ampia, più magica, che introduce la funzione emozionale insieme ad altre. Tomás Maldonado, artista, designer e filosofo e mio professore conosciuto all’università, parlava della capacità dei creatori italiani di muoversi tra ruoli diversi, di dare loro dei valori.
Ci sono progetti molto intimi, altri che vogliono ricreare una sensazione, un’esperienza amichevole. Lo spazio, l’architettura, il design sono strumenti per migliorare e dare qualità al modo in cui viviamo e al nostro benessere, quindi devono essere sempre in equilibrio tra praticità e poesia».

Da tempo sembra essersi fatta largo l'idea che l'alta qualità sia confinata al lusso, quindi all'esclusività. Un'inversione di rotta è possibile?
«La concezione di"lusso" è strettamente legata al significato che ognuno dà a questo termine. Il mio approccio al tema del lusso è sempre incentrato su un lusso non convenzionale ed esplicito, ma basato su dettagli accurati, riferimenti sia espliciti che evocativi, e un utilizzo di materiali che rifletta il contesto e coerente con i valori del committente.
Io credo che sia possibile offrire design di alta qualità più accessibile, attraverso una combinazione di innovazione nel processo produttivo, ricerca di materiali sostenibili e una progettazione intelligente che ottimizzi l'uso delle risorse.
È importante educarci sul valore intrinseco di un prodotto, oltre al suo costo. Un oggetto ben progettato e concretizzato può offrire un'esperienza di vita migliore e durare nel tempo, diventando un investimento a lungo termine».

ENDORFINE FESTIVAL

Mario Botta sostiene che l'architetto dovrebbe essere un umanista, legato al suo territorio. Cosa è chiamato a essere, oggi, il professionista di questo settore?
«Io credo che il lavoro dell’architetto riguardi anche e soprattutto il rapporto con altri settori; il rapporto con ingegneri, filosofi, biologi, artisti, artigiani, in una relazione dialettica. Quando progettiamo un oggetto, stiamo concependo qualcosa che è legato a molte dimensioni: un comportamento, un modo di fare, un bisogno, un’emozione che cambia e si modifica nel tempo».

L'accresciuta attenzione all'ambiente e alla sostenibilità pone nuove sfide agli architetti e ai designer?
«Credo la sostenibilità nel design non debba essere vista come una punizione o di qualità inferiore, ma anzi: uguale o superiore, esaltando le caratteristiche proprie dei materiali riciclati.
Questa attenzione è diventata parte della mia etica lavorativa molto presto attraverso le lezioni e i libri di Maldonado durante i miei studi al Politecnico. È stato un precursore, uno dei primi a sollevare la questione. Questa consapevolezza è qualcosa a cui ora non possiamo rinunciare e non può limitarsi all’utilizzo di materiali riciclati.
In effetti, un processo di progettazione oggi deve tenere in considerazione non solo le fonti dei materiali, la produzione e la logistica, ma anche il modo in cui un prodotto viene smantellato alla fine del suo ciclo di vita. Un designer deve progettare anche come un prodotto può essere riutilizzato. C'è un enorme potenziale in questo settore e questa nuova direzione progettuale, che un gran numero di brand ha già intrapreso, è molto stimolante».

IMAGO / agefotostock

Quale idea ha guidato i suoi progetti in Svizzera, vere eccellenze del settore dell'hospitality?
«In Svizzera ho lavorato con lo chef Andreas Caminada per progettare i suoi ristoranti, rispettivamente a Bad Ragaz e St. Moritz. Progettare ristoranti è sempre una bella sfida. Gli chef sono grandi professionisti con cui confrontarsi e impegnarsi anche sugli interni perché vogliono che i loro ospiti vivano l'esperienza di fine dining più completa che va oltre l'offerta gastronomica. Lavorare con Andreas Caminada non ha fatto eccezione e ho avuto l'opportunità di sperimentare, discutere e in qualche modo co-progettare a quattro mani con un creativo proveniente da un altro settore, il che è sempre molto stimolante. Ogni ristorante vuole esprimere l'energia progettuale insieme all'energia culinaria proveniente dai piatti dello Chef Caminada, come se i piatti interagissero realmente con lo spazio o come se gli interni fossero un'armonica estensione delle proposte gastronomiche.
Entrambi i ristoranti hanno una storia unica: a Zurigo il ristorante era un teatro, a St. Moritz un albergo storico, a Bad Ragaz un monastero. Ho voluto mantenere il fascino di ogni edificio, facendo respirare la storia agli ospiti quando entrano.

Quale consiglio darebbe a un giovane che sta valutando d'iscriversi a una Accademia di design o architettura, come quella che abbiamo a Mendrisio?
«Di formarsi nel modo più interdisciplinare possibile. Deve avere una forte base professionale e culturale, una buona formazione umanistica, ma anche una curiosità per le nuove tecnologie, i nuovi materiali, le scienze botaniche, la sociologia e la filosofia. Deve trovare la sua passione-ossessione. La scala di progetto più adatta al suo talento e alle sue capacità».


Appendice 1

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