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Vita disumana e torture: le terribili storie dei migranti soccorsi dalla Ocean Viking

Sulla nave c'erano 71 migranti, tra cui una donna incinta e 16 minori. Salvati nel Mediterraneo Centrale dopo essere partiti dalla Libia.
Sulla nave c'erano 71 migranti, tra cui una donna incinta e 16 minori. Salvati nel Mediterraneo Centrale dopo essere partiti dalla Libia.

Nella prima mattina di venerdì 2 febbraio è arrivata al porto di Livorno la Ocean Viking, nave della Ong SOS Méditerranée che effettua servizio di ricerca e soccorso nel Mediterraneo Centrale. Il cielo è ancora scuro e soffia un freddo vento di grecale quando alle 6:30 la nave attracca alla Calata Carrara. A bordo insieme all’equipaggio ci sono 71 naufraghi, salvati in acque internazionali a largo della Libia, da dove erano partiti cercando di raggiungere l’Europa.

Una donna incinta e 16 minorenni - «Il 29 gennaio abbiamo effettuato il soccorso» spiega Francesco Creazzo, Communication Officer SOS Méditerranée Italia che ha partecipato alla missione. Racconta che «le persone si trovavano a bordo di un gommone artigianale stracarico e precario». La segnalazione è arrivata da Seabird, l’aereo della ONG Sea Watch. «Tra le 71 persone tratte in salvo – prosegue Creazzo – c’erano anche 5 donne, di cui una incinta, e 16 minori non accompagnati. Sono principalmente di nazionalità Eritrea e Etiope, quasi tutti della regione del Tigray che è al centro di una guerra. Poi, in numero minore, alcuni dalla Nigeria, dal Sudan e dal Ghana. Tendenzialmente li abbiamo trovati in buone condizioni, anche se abbiamo riscontrato qualche ustione da carburante». Subito dopo il soccorso è stato assegnato Livorno come porto sicuro. «Abbiamo messo la prua a Nord – racconta Creazzo – abbiamo attraversato il corridoio tunisino e siamo arrivati dopo tre giorni di navigazione». Nonostante la lunga traversata, le miti condizioni meteorologiche hanno consentito un viaggio tranquillo. «La cosa che personalmente mi ha colpito di più è stato il silenzio assoluto della prima notte dopo il salvataggio – dice Creazzo – probabilmente è stata la prima notte in cui queste persone hanno dormito davvero dopo anni. Dopo la Libia è stata la prima volta che si sono sentiti al sicuro».

Giacomo SiniUno dei momenti dello sbarco dei 71 naufraghi al porto di Livorno.

La coppia dall'amore impossibile - È la vicenda collettiva di centinaia di migliaia di persone, intreccio di una miriade di storie individuali. Come quella di un ragazzo e di una ragazza che sono stati tratti in salvo dalla Ocean Viking. I soccorritori avevano notato che sia sul gommone che sulle lance di salvataggio stavano sempre abbracciati, separandosi giusto il tempo di salire la scaletta che li ha condotti a bordo. Anche sulla nave sono stati perennemente abbracciati, tranne che nei dormitori, che sono separati per ragioni di sicurezza. A bordo hanno raccontato la loro storia. Un amore impossibile, o comunque nato sotto condizioni impossibili. Il ragazzo aveva notato la ragazza in un campo di detenzione arbitraria a Kufrah in Libia, nel mezzo del Sahara. In questa oasi, tappa obbligata durante il viaggio nel deserto verso le città libiche della costa venendo da Karthoum, sorgono numerosi centri di detenzione. In questi luoghi i migranti sono reclusi in condizioni disumane, torturati, schiavizzati, mentre alle famiglie viene richiesto il pagamento di un riscatto. In uno di questi centri i due si sono incontrati e si sono reciprocamente confessati il loro amore. Hanno deciso di scappare insieme e dopo un po’ ci sono riusciti, e hanno raggiunto Tripoli. A Tripoli sono stati un anno, naturalmente anche lì in condizioni precarie. “La nostra strada non può finire qui” si sono detti ad un certo punto, si sono imbarcati insieme, e lei è incinta di lui. Sono sbarcati assieme a Livorno, tra i primi.

Condizioni di vita disumane e torture - Purtroppo però per la maggior parte dei sopravvissuti non vi sono gli stessi spiragli di luce nella vita che si sono lasciati alle spalle ma che porteranno sempre con sé. «Tra le persone che abbiamo soccorso – racconta Carrazzo – c’è un uomo che è stato otto anni in Libia, penso che questo già dica tutto». La sua storia è la storia di molti. Scappato dal conflitto del Tigray per sostenere i figli lavorando, prima ha lavorato in Sudan e poi in Libia, finché non è stato più volte rimbalzato da campo a campo «venduto da campo a campo» ha raccontato l’uomo al personale della Ong «mi mandavano di qua e di là come uno scherzo, per farsi gli scherzi a vicenda». Ogni campo ovviamente significa condizioni di vita disumane e poi nuove vessazioni, torture, ricatti. Ha provato le vie legali, sostenendo diverse interviste con gli enti preposti che vanno nei campi di tanto in tanto. Non è servito a niente, è stato ridotto in schiavitù per un certo periodo e ha lavorato gratis sotto padrone per diverso tempo, finché una volta è riuscito a fuggire. «Gli abbiamo chiesto – racconta Carrazzo – se avesse avuto paura in mare, durante il viaggio» La risposta non lascia spazio a commenti «Io non ho avuto paura, paura di che? Sapevo benissimo di poter morire, ero già morto. In Libia ero un uomo morto e voi mi avete ridato la vita».

Giacomo SiniUno dei momenti dello sbarco dei 71 naufraghi al porto di Livorno.

Le operazioni di sbarco si sono svolte secondo procedure ormai collaudate, alla presenza di un ingente schieramento di forze di polizia oltre che del personale di Frontex. Le autorità locali presenti hanno illustrato la situazione alla stampa. «In 13 mesi sono 10 le navi delle Ong arrivate a Livorno, circa 1000 le persone le persone sbarcate – dichiara il sindaco di Livorno Luca Salvetti come tracciando un bilancio – noi continueremo ad accogliere, ma manca una politica di integrazione».

La politica che blocca gli aiuti - Il giudizio di questi 13 mesi per SOS Méditerranée è molto più severo e netto «Il bilancio è assolutamente negativo – dichiara Creazzo – ovviamente la politica dei porti lontani in accoppiata col Decreto Piantedosi impone di fatto una compromissione della nostra capacità di soccorso e di intervento. Una capacità già limitata, perché non abbiamo certo le capacità degli stati, che sarebbero poi i soggetti deputati a compiere il soccorso il mare». Per la Ong non si tratta di un caso «Lo scopo – prosegue il portavoce – è tenerci il più lontano possibile dalle aree delle operazioni il più a lungo possibile. Purtroppo in questo senso si sta dimostrando efficace con fermi amministrativi ingiusti e la lunga distanza da percorrere semplicemente per raggiungere i porti». Il fatto che le navi invece di sbarcare i naufraghi nel porto più vicino alla zona di soccorso, siano costrette a risalire l’intera penisola, costituisce, spiega Creazzo «uno stress in più per le persone che già hanno subito diversi traumi, dei quali solo l’ultimo è il viaggio in mare». C’è poi il problema economico dei costi, oltre a quello ambientale connesso all’ingente consumo di carburante: «la politica dei porti lontani ci costa circa 400 mila euro l’anno – spiega il portavoce della Ong – Ogni viaggio costa tra i 25 e i 30 mila euro. Sono tutti soldi che escono dalle tasche dei nostri donatori che per oltre il 90% sono singole persone, perché organizzazioni come SOS Mediterranée si sostengono grazie alla volontà della società civile». Il motivo per Creazzo è chiaro: «togliere gli occhi e i testimoni da quello che accade nel Mediterraneo Centrale. Come sapete nel 2017 è stata istituita la zona SAR libica e questo comporta l’abbandono da parte degli stati europei sia del soccorso sia, in certa parte, del coordinamento di quella zona di mare, di fatto svuotandola di assetti di soccorso, aumentandone esponenzialmente il tasso di mortalità».

Giacomo Sini. Francesco Creazza, nella foto a destra, communications officer Sos Mediterraneè Italia, imbarcato sulla Ocean Viking. Nell’immagine ritratto mentre sbarca dalla nave.


Appendice 1

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Giacomo SiniUno dei momenti dello sbarco dei 71 naufraghi al porto di Livorno.

Giacomo SiniUno dei momenti dello sbarco dei 71 naufraghi al porto di Livorno.

Giacomo SiniUno dei momenti dello sbarco dei 71 naufraghi al porto di Livorno.

Giacomo Sini. Francesco Creazza, nella foto a destra, communications officer Sos Mediterraneè Italia, imbarcato sulla Ocean Viking. Nell’immagine ritratto mentre sbarca dalla nave.