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Generazione Z: «Il lavoro non è tutto, la vita privata conta di più»

Crescente sfiducia dei datori di lavoro nei confronti dei giovani. Meglio puntare sugli over 40: «Credono di più nel lavoro»
Crescente sfiducia dei datori di lavoro nei confronti dei giovani. Meglio puntare sugli over 40: «Credono di più nel lavoro»

Fastidiosi, ritardatari e con evidenti lacune grammaticali. E' questo l'impietoso giudizio espresso da Jodie Foster sul Guardian in merito al suo rapporto con i giovani attori. «Sono davvero fastidiosi-ha dichiarato la Foster-soprattutto sul posto di lavoro. Dicono 'No, non me la sento, oggi verrò alle 10.30' oppure nelle e-mail gli dicevo 'Ci sono errori di grammatica, hai controllato l'ortografia?' e loro rispondevano 'Perché dovrei farlo, non è questo un tipo di limitazione?'». Secondo la sessantunenne premio Oscar, gli attori più giovani - parliamo di quelli appartenenti alla Gen Z. ossia nati tra il 1997 ed il 2012 - «devono imparare a rilassarsi e a inventare qualcosa che sia loro». Se, infatti, secondo il Time, la generazione precedente dei Millennial era afflitta da un certo narcisismo, la Gen Z. soffrirebbe di una sorta di 'ecoansia', che avrebbe in Greta Thumberg un suo esponente di spicco. Da qui, il consiglio di Jodie Foster di 'rilassarsi' e non prendere tutto troppo sul serio, dandosi una importanza “da protagonisti”.

Boomer sempre disponibili - Questo modo d'essere della generazione Z sarebbe particolarmente evidente nel mondo del lavoro. In un recente articolo del Corriere della Sera viene messo a confronto il diverso atteggiamento delle varie generazioni nei confronti dell'impegno lavorativo. Davanti ad una offerta lavorativa, il Boomer, di solito, è sempre disponibile a lavorare, e non si tira indietro neanche davanti alla richiesta di straordinari, il Millennial, pur lamentandosi, accetta lo stesso, mentre la Gen Z, stacca direttamente il telefono e si rende irraggiungibile.

Il 40% dei datori di lavoro americani riluttanti ad assumere i giovani - Da un recente sondaggio condotto dalla rivista Intelligent emerge una galoppante sfiducia dei datori di lavoro nei confronti dei dipendenti appartenenti alla Generazione Z. Dal sondaggio, infatti, risulta che il 40% dei datori di lavoro americani preferisca non assumere dipendenti di quella fascia di età, il 38% si lamenta di averne dovuto licenziare molti perché ritardatari, incapaci di rispettare una scadenza o perché assenti ad una riunione. Anche il giornale britannico The Guardian ha dedicato ampio spazio, nei suoi articoli, al rapporto tra la Gen Z e il mondo del lavoro. Secondo un sondaggio della società di consulenza per le comunicazioni strategiche BCW, condotto su un campione di 36 mila persone in 30 Paesi, il 44% dei Gen Z si dice interessato “ad avere molto successo”, il 43% che “è importante fare cose gratificanti” e “cercare di divertirsi il più possibile”. Un terzo della generazione Z ha affermato che è importante essere ricchi, rispetto al 26% dei Millennial ( i nati tra il 1980 e il 1996) ed il 16% della generazione X (quelli nati tra gli anni sessanta e il 1980), e avere uno stile di vita eccitante.

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Il paradosso della Gen Z: ricchezza e fama senza sacrificio - Secondo Lisa Story, capo ufficio strategie della Bcw, il risultato del rapporto Age of Values 2023, “è molto interessante perché in genere le persone non si sentono a proprio agio nell'esprimere una tale scala di valori”. Tale atteggiamento, secondo la Story, è fortemente condizionato dall'uso dei social network che permette di rendere pubblico ogni aspetto della propria vita, e quindi anche il mostrare agli altri il proprio successo e lo status sociale raggiunto. Vi è però qualcosa che stona con tale tipo di risultato: se, infatti, una persona aspira legittimamente ad essere ricca e famosa, non dovrebbe poi essere in grado di sopportare i sacrifici necessari per raggiungere tale stato di cose? Come mai, invece, la Gen Z viene definita edonista e lavativa e poco affidabile sul lavoro? Verrebbe da pensare che la possibilità di conquistare un rapido successo sui social abbia quasi privato questa generazione della volontà di cimentarsi con le sfide, dure e, a volte, per niente gratificanti, del mondo del lavoro, strutturandosi in tal modo per far fronte ai problemi ed alle frustrazioni che esso comporta.

Non si rinuncia alla vita privata - Sempre sul Guardian è possibile leggere che solo il 49% della generazione Z ritiene che il lavoro sia fondamentale per la propria vita, rispetto al 62% dei Millennial, e spesso, sui social, si leggono i proclami di chi “vuole fare la maggior quantità di denaro possibile lavorando la minor quantità di ore possibile”. Su Tik Tok l'hastag #lazygirljob, lavoro da ragazza pigra, ha migliaia di visualizzazioni, e celebra la possibilità di guadagnare un proprio stipendio facendo il meno possibile. Il termine è stato coniato dalla tiktoker Gabrielle Judge riferendosi ad un lavoro che permetta di vivere dignitosamente senza però l'obbligo di andare in ufficio e garantendo al lavoratore la libertà di avere del tempo libero per sé e la propria famiglia. La sfera privata, quindi, rimane di fondamentale importanza per la generazione Z che non ritiene di dover sacrificare la propria vita privata sull'altare del lavoro, così come ritenuto naturale dalla generazione dei propri padri e nonni.

Tra delusione e disincanto - Se un tempo, infatti, la persona trovava la propria identità nel lavoro che svolgeva, e per il quale sacrificava una fetta importante del proprio privato, i cosiddetti 'giovani d'oggi' ritengono che non sia meno importante salvaguardare dei propri spazi privati rispetto al tempo da dedicare alla propria carriera lavorativa. Come sostenuto da diversi esperti, è molto presente in questa generazione un sentimento di delusione e disincanto nei confronti di ciò che il mondo del lavoro ha loro da offrire. Se da una parte, quindi, non vi è sondaggio che non confermi le maggiori difficoltà dei datori di lavoro a collaborare con i rappresentanti di questa generazione, dall'altra, così' come suggerito da un numero cospicuo di esperti, non bisogna dimenticare il periodo storico nel quale questi giovani si trovano a vivere.

Colpa del covid - La pandemia, tra i tanti problemi che ha comportato, ha compromesso la possibilità di svolgere un regolare percorso scolastico, oltre ad aver aumentato di molto l'incidenza di problemi di salute mentale tra i più giovani. Come scritto da Nathan Biller, laureato alla Colgate University, in un articolo scritto per il Wall Street Journal “con la pandemia di Covid, è venuta meno l'opportunità di svolgere lavori part-time e stage che permettevano agli studenti universitari di costruire il proprio curriculum. Finiamo il college con un diploma in mano, ma privi dell'esperienza del mondo reale e senza quelle credenziali richieste dai datori di lavoro”.

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Tra social media e ansia, il nuovo volto del malessere lavorativo - Secondo un sondaggio della piattaforma di gestione di lavoro statunitense Asana, nel 2022 la maggior parte dei lavoratori appartenenti alla generazione Z dava segni di malessere mentale al lavoro e ciò, come visto, può essere ricondotto ad un numero molteplice di cause: la perdita di potere contrattuale, l'instabilità finanziaria, l'incertezza del futuro oltre ad una costante forma d'ansia, rilevata anche dalla Foster ad inizio articolo, che rende loro difficile rilassarsi e affrontare le difficoltà della vita con un approccio più resiliente. L'uso dei social media ha formato una generazione di iperconnessi che non riescono a concedersi degli spazi esclusivamente privati, trovandosi così nella condizione di condurre uno stile di vita molto stressante a livello psicologico. Ciò si riflette indiscutibilmente anche nell'approccio al mondo del lavoro, causando i problemi di cui si parla.

Solo il 43% si sente sicuro di sé - Secondo i dati Linkedin del dicembre 2022, i giovani della Gen Z sono i più sfiduciati di tutte le generazioni, e solo il 43% di loro si sente sicuro di sé, rispetto al 59% dei Millennial e, a livello globale, oltre il 70% di loro è alla ricerca di un nuovo lavoro perché quello attuale non è in linea con i propri desideri. La ricerca di qualcosa di più aderente alle proprie necessità, come una maggiore flessibilità di orari o autonomia nell'organizzazione lavorativa, non va però sempre intesa in senso negativo. Abituati al modello del lavoratore che tutto sacrifica per il proprio impiego, e spinto dalla paura di perdere il poco che ha conquistato non si ribella ad evidenti ingiustizie, l'aver davanti una generazione che rivendica un lavoro più soddisfacente ed equo appare quasi spiazzante. Eppure, come scritto da un influencer della Gen Z a Business Insider, “La nostra è una generazione che non vuole lavorare tanto ma in maniera più intelligente. Può sembrare una mancanza di etica del lavoro ma non è così. Si cerca solo un'organizzazione diversa e un posto diverso da assegnare al lavoro all'interno della propria vita, marcando più di prima i confini tra vita personale e lavoro”.


Appendice 1

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