Non sono solo i frontalieri a lamentarsi della statale lungo la quale una coppia locarnese è stata uccisa da una frana. E intanto c’è paura per le attività economiche delle Centovalli
CAMEDO – «No, io non sono sorpreso della frana. Mi spiace per le vittime. Ma dalle nostre parti tutti si aspettavano una cosa del genere, prima o poi». In sintesi è il pensiero di Mario Manfrina, ex curatore del Museo delle Centovalli e del Pedemonte. A Camedo e dintorni, pochi giorni dopo il dramma di Pasqua, costato la vita a una coppia locarnese, sono più i dubbi delle certezze. «Perché per noi della regione la frontiera non esiste – ammette Giona Dellagana, giovane gerente del ristorante Grütli – la strada sul versante italiano, in fondo, è anche un po’ nostra. E ogni volta che ci passiamo non siamo tranquilli».
Sette chilometri di tensione – Dellagana si riferisce a quei sette chilometri che separano Camedo da Re. Quelli in cui si è riversata la furia della montagna, uccidendo Elena Scolari e Marco Brignoli, trovatisi nel posto sbagliato al momento sbagliato. Dopo l’incidente, i frontalieri della zona di Re sono insorti contro le autorità italiane. Ma il problema non riguarda solo i quasi 1'500 lavoratori italiani che transitano ogni giorno da Camedo. «Io quella strada la percorro regolarmente – riprende Dellagana – ho la ragazza a Losanna. Ci devo passare per forza. Ora tutti si chiedono quando riaprirà. Ma non si può più fare finta di niente. È una strada in cui, tra l’altro, ci sono punti davvero critici, in cui due auto si scambiano appena. E le due vie di marcia non sono nemmeno divise».
Tra crepe e buchi – Mentre il sindaco di Centovalli, Ottavio Guerra, ha ancora di recente sottolineato i grandi investimenti fatti su suolo svizzero per mettere in sicurezza la situazione della viabilità, in Italia si punta il dito contro l’irresponsabilità dell’Anas, l’ente nazionale per le strade. «Forse la frana in sé non era prevedibile nel luogo specifico – dice Dellagana – ma da anni quella zona lanciava segnali eloquenti. Bastava dare un’occhiata ai muri di sostegno, pieni di crepe. O alle cunette, zeppe di buchi».
Turisti bloccati – La ferrovia riapre in queste ore. «Prima rispetto alla strada – aggiunge Manfrina – i danni ai binari e alla linea sono inferiori. E probabilmente è anche più facile metterli in sicurezza. C’è tanta confusione». E c’è pure chi è preoccupato per il turismo. «I nostri ospiti vallesani, ginevrini e vodesi, ad esempio, passano tutti da lì. Ora rischiamo di avere seri guai per l’economia della regione».
Futuro incerto – Tra chi rischia di avere pesanti ripercussioni economiche c’è Katia Rampazzi-Burland, gerente del distributore di benzina Eni, con negozio annesso, proprio a Camedo. «Sono amareggiatissima per la tragedia accaduta. E sono anche preoccupata per il futuro immediato della mia attività. Ho tre dipendenti. Da qui passa tantissima gente durante la stagione turistica. Quando nel 1993 ci fu una tragedia simile, la strada restò chiusa quasi due anni. Mi chiedo cosa potrebbe accadere, se il ripristino della normalità dovesse andare per le lunghe».
Strage sfiorata – Katia Rampazzi mantiene un tono critico sulla vicenda. «La gente ha paura a passare di lì. È davvero ora di fare qualcosa. È una strada fatiscente. Se la frana fosse caduta il giovedì o il venerdì santo, si sarebbe verificata una vera e propria strage. La strada in quei giorni era trafficatissima. Le autorità italiane sono state incoscienti».
L’esempio ticinese – «La cosa più assurda – conclude Dellagana – è che esiste già un credito per la manutenzione di quella tratta stradale italiana. Ma non si capisce perché finora non si sia fatto niente. Probabilmente, dal momento in cui inizieranno a fare i lavori, si dovrà circolare a traffico alternato. Sarà fastidioso. Ma è stato così anche quando sono stati fatti i lavori su suolo svizzero. E siamo riusciti comunque a portare a termine un’opera dignitosa e sicura».