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La giovane siriana era già in una situazione critica quando arrivò a Briga, ma non ricevette nessuna cura
LOSANNA - Il rinvio di una rifugiata dalla Svizzera, il 4 luglio del 2014, si era concluso drammaticamente. La 21enne, lo ricordiamo, era stata arrestata alla stazione di Vallorbe, nel Canton Vaud, mentre cercava di entrare in Francia con la sua famiglia. Subito, insieme ai suoi tre figli e al marito, era stata rispedita in treno in Italia, paese dal quale provenivano.
Al suo arrivo a Domodossola però, la giovane mamma aveva subito un aborto spontaneo.
Stando a quanto riporta la “NZZ am Sonntag”, che è riuscita ad accedere ad una parte dei dossier, l’inchiesta dimostra la responsabilità del capo delle quattro guardie di confine che accompagnavano la 21enne.
In medico legale ritiene che la donna era già in una situazione critica quando è arrivata a Briga, nel Canton Vallese, prima di percorrere il tunnel del Sempione. La giovane mamma non ha però ricevuto nessuna cura, anche se il marito aveva cercato di avvisare le guardie di confine sullo stato di sua moglie.
Agli inquirenti, i doganieri hanno spiegato che pensavano che la donna stesse fingendo, come spesso accade. Inoltre, hanno spiegato, non si sono accorti che la donna fosse incinta a causa dei vestiti larghi che indossava.
L’indagine prosegue - È il distacco della placenta, diagnosticato in un secondo tempo, che ha causato la morte del feto, e l’emorragia che ha successivamente colpito la donna avrebbe potuto costarle la vita. Il rapporto del medico legale però non chiarisce se il bambino si sarebbe potuto salvare in caso di cure immediate. L’indagine della giustizia militare prosegue.
