Con il progetto sprachkompass.ch, il dottor Hugo Caviola analizza il linguaggio che usiamo nella nostra quotidianità.
Parole come «vergogna di volare», «impronta ecologica» o «sofferenza animale» possono portare a comportamenti più sostenibili? Caviola ne è fermamente convinto.
Il dottor Hugo Caviola (67) lavora come linguista all’Università di Berna e guida il progetto sprachkompass.ch che mira ad analizzare in che modo l’utilizzo quotidiano del linguaggio influisce sul comportamento nei confronti dell’ambiente e ha l’obiettivo di promuovere un utilizzo consapevole delle parole.
Signor Caviola, le parole possono cambiare il nostro comportamento?
Imprese e altre organizzazioni spendono miliardi per la pubblicità. Questa è probabilmente la dimostrazione più diretta del fatto che il linguaggio ha questo potere. Anche numerosi studi lo dimostrano. Nel quadro di un esperimento di Stanford è stato dimostrato che la prospettiva delle persone nei confronti di episodi di violenza cambia a seconda se in un testo specifico la violenza viene descritta metaforicamente come «bestia» o come «virus». Un ulteriore esempio: in Germania il matrimonio per persone dello stesso sesso è stato accettato solo quando hanno cambiato la definizione da «matrimonio omosessuale» a «matrimonio per tutti».
Le parole possono quindi promuovere uno stile di vita più sostenibile.
Sì, le parole possono aprire nuove prospettive. Quando si sono affermati i termini «benessere animale» e «sofferenza animale», abbiamo iniziato a pensare agli animali in maniera diversa. I cosiddetti animali da reddito non erano più solo merci industriali al pari di orologi o scarpe ma esseri viventi che provano dolore. Funziona allo stesso modo con «impronta ecologica» o «vergogna di volare»: anche queste parole hanno aperto nuovi modi di pensare. Se parlate con qualcuno che racconta del suo viaggio all’estero e menzionate la vergogna di volare o la sua impronta ecologica, il discorso prende immediatamente un’altra piega.
Parliamo di viaggi all’estero. Nel quadro di sprachkompass.ch, avete analizzato attentamente le pubblicità per questi viaggi. Cosa avete scoperto?
I viaggi in Paesi lontani vengono spesso pubblicizzati con parole chiave come «paradiso», «fiaba» o «sogno». Vengono inoltre mostrate bellissime immagini delle Seychelles, di Bali o delle Maldive che magari non corrispondono nemmeno alla realtà. Viene quindi creata la sensazione di poter sfuggire alla realtà grazie a questi viaggi. Le massicce emissioni di CO2 generate dai voli vengono messe da parte. E questo fa nascere in me la domanda: non sarebbe più sensato rilassarsi in una località più vicina o valorizzare la nostra quotidianità in modo che questi viaggi così dannosi per il clima non siano più necessari?
Torniamo alla vita quotidiana. Planted, un produttore svizzero di alternative alla carne, deve apparire davanti al Tribunale Federale perché uno dei suoi prodotti viene descritto come «chicken».
Anche questo mostra quanto potere possono avere le parole. I prodotti alternativi alla carne si trovano presumibilmente in uno stato di transizione. Definizioni come «chicken» o «pollo» fanno sì che il consumatore abbia un’idea di cosa può aspettarsi dal nuovo prodotto e i settori interessati vogliono evitare che il valore di mercato dei prodotti originali venga soppiantato dagli imitatori. Nei piatti vige ancora la vecchia gerarchia: la carne è la star mentre il resto è «contorno».
Ultima domanda: il Suo lavoro ha cambiato anche il Suo comportamento?
Naturalmente mi sta molto a cuore la gestione consapevole delle parole e dell’ambiente. Non mangio quasi più carne, ho preso l’aereo l’ultima volta quattro anni fa e sono molto fiero del fatto che non uso più l’auto nella mia vita quotidiana.