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LUGANO«È un infermiere, sapeva bene che poteva ucciderla»: chiesti sei anni di carcere

26.09.23 - 18:12
Il 36enne «ha messo le mani al collo e preso a calci la compagna per futili motivi», così l'accusa.
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«È un infermiere, sapeva bene che poteva ucciderla»: chiesti sei anni di carcere
Il 36enne «ha messo le mani al collo e preso a calci la compagna per futili motivi», così l'accusa.
La difesa, al contrario, chiede la scarcerazione dell'uomo: «Quanto accaduto è il risultato di una dinamica alimentata da entrambe le parti».

LUGANO - Sei anni di detenzione. Più un trattamento ambulatoriale e l’espulsione dalla Svizzera per sette anni. È questa la pena richiesta dalla procuratrice pubblica Pamela Pedretti per il 36enne italiano residente nel Luganese oggi alla sbarra alle Assise criminali per aver tentato di uccidere la sua compagna.

La difesa, al contrario, riconosce unicamente i reati di ingiuria, vie di fatto e infrazione alla legge federale sugli stupefacenti. Chiede quindi la liberazione immediata dell'uomo, che dal suo arresto ha scontato otto mesi di detenzione. La sentenza è attesa per domani alle 15.30.

«Sapeva quanto era pericoloso» - «L'imputato le ha messo le mani al collo e l'ha presa a calci in testa per motivi inconsistenti, agendo sempre con movente egoistico», sottolinea Pedretti, evidenziando che, «essendo infermiere di professione, l'accusato sapeva bene quanto questi atti potessero essere pericolosi per la vita della donna». 

Segni da strangolamento - Il 36enne «sa di aver sbagliato e teme le conseguenze», afferma la procuratrice, e a comprovare la versione della vittima, per quanto concerne la notte in cui lui l'avrebbe tentata di strangolare, sono i messaggi scambiati tra i due. «Questa volta sei andato oltre il limite, hai cercato di ammazzarmi», recita Pedretti citando la donna. «E tu mi uccidi la vita ogni giorno», ha risposto il 36enne. «Non ha negato», sottolinea la pubblica accusa, senza contare che «i lividi e gli ematomi che la vittima presentava sul collo all'arrivo della polizia sono perfettamente compatibili con uno strangolamento». Il medico legale «ha infatti confermato che i segni sembrano essere stati causati da una presa a due mani, con interruzione di flusso d'aria». 

«Sono troppi i cambi di versione fatti dal 36enne nel corso dell'inchiesta», insiste la procuratrice, «mentre la vittima ha dato resoconti lineari e che riflettono i referti medici». 

Si parla poi dell'episodio dei calci in testa. «La vittima ha stimato che i colpi da lei ricevuti sono stati tra i cinque e i dieci, e che siccome muoveva la testa è stata colpita in più punti». Anche qui c'è poi uno scambio di messaggi. «"Ti rendi conto che mi hai preso a calci in testa"», ha scritto la donna. «"Ma c***o addirittura la tipa del piano di sotto ti ha detto che se non la smettevi ti portava lei fuori per il collo"», si è limitato a replicare lui. Il 36enne, evidenzia l'accusa «non risponde quindi "ma cosa stai dicendo?!"» come avrebbe fatto una persona che questi calci non li ha sferrati». 

Per quanto riguarda infine gli episodi di abuso sessuale, Pedretti si rifà alle dichiarazioni della vittima. «Non ci sono stati accarezzamenti e toccamenti, lui l'ha abusata mentre dormiva». 

L'imputato «è un bugiardo e un manipolatore che non ha espresso alcun rimorso per quanto accaduto», aggiunge, dal canto suo, Barbara Pezzati, avvocato della vittima. «Ha mentito di continuo, adattando la sua versione in funzione di quanto emergeva in corso d'inchiesta». 

«Una dinamica alimentata da entrambi» - La parola passa poi alla difesa. «È vero tra i due c'era un rapporto disfunzionale. L'ha confermato il perito psichiatrico», esordisce l'avvocato Yasar Ravi. «Quest'ultimo ha però precisato che quanto accaduto dipende dalla specificità della dinamica di coppia, alimentata da entrambi, e quindi non è generalizzabile». Il 36enne «ha inoltre ammesso di avere a più riprese avuto reazioni eccessive». 

«Non c'è poi alcun certificato medico agli atti per quanto concerne l'episodio dei calci in testa», continua Ravi. «In assenza di ulteriori riscontri oggettivi e in applicazione del principio di dubio pro reo, l'imputato deve quindi essere prosciolto dai capi di accusa legati a questa vicenda». L'intento dell'uomo «non era infatti quello di fare del male alla compagna, ma di farla uscire dal suo domicilio». 

«Il flusso d'aria non è stato interrotto» - Si viene poi all'episodio dello strangolamento, che ha portato all'arresto del 36enne. «I rilievi medici mostrano che non vi fu una fase asfittica tale da mettere la donna a rischio di vita», sostiene Ravi. «La vittima ha dichiarato che non riusciva a respirare, ma in una seconda versione ha detto che urlava "aiuto". Quest'ultima affermazione comprova il fatto che la presa non ha interrotto il flusso d'aria». In conclusione, «non c'è certezza sulla forza esercitata nella compressione al collo, né sulla durata della stretta. Quindi non si prospetta il reato di tentato omicidio».

Per quanto concerne gli abusi sessuali «la donna ha riferito che degli episodi simili a quello del sesso orale forzato si erano già verificati ma che "non li aveva vissuti come abusi, ma parte della loro dinamica di coppia», insiste la difesa. «Come poteva l'imputato allora comprendere questa differenza?», chiede alla corte Ravi.

La difesa riconosce dunque unicamente i reati di ingiuria, vie di fatto e infrazione alla legge federale sugli stupefacenti e ritiene che gli otto mesi di detenzione finora scontati dal 36enne siano sufficienti. Ravi chiede perciò la sua scarcerazione.

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