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CANTONEDestinazione Ticino: «Eravamo in 20 su una barca di tre metri»

20.06.23 - 08:30
Ali e Hiam, due richiedenti asilo residenti a Lugano, ci raccontano la loro storia.
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Destinazione Ticino: «Eravamo in 20 su una barca di tre metri»
Ali e Hiam, due richiedenti asilo residenti a Lugano, ci raccontano la loro storia.

LUGANO - «Chi si porta dietro dei traumi? Tutti». È quanto afferma Dalila Benzoni, assistente sociale di SOS Ticino, riguardo ai migranti con i quali lavora ogni giorno. Oggi, in occasione della Giornata mondiale del rifugiato, ci tuffiamo nel passato e presente di due di loro, i richiedenti asilo Ali e Hiam.

Ali ha 32 anni, viene da Herat, in Afghanistan, e oggi vive a Lugano. È in Svizzera da sei anni e detiene un permesso F per persone ammesse provvisoriamente. Attualmente lavora alla Clinica luganese Moncucco come assistente di cura e segue la formazione del pre-apprendistato di integrazione.

Minacce e botte - «In Afghanistan lavoravo come presentatore televisivo», spiega. «Conducevo programmi in cui parlavo di uguaglianza e dell’importanza di lasciare libertà alle donne, dando loro la possibilità di uscire e di studiare. Purtroppo però in Afghanistan la mentalità è molto chiusa, perciò ricevevo minacce di morte e mi sentivo costantemente in pericolo. Un giorno degli uomini incappucciati si sono presentati a casa mia e mi hanno pestato selvaggiamente. Così ho deciso di scappare».

E Ali fugge. Viaggia in auto fino in Iran, attraversa a piedi la Turchia e poi si imbarca per la Grecia. «Abbiamo attraversato il mare in 20 su una barchetta di tre metri. C’erano anche donne e bambini e ho visto gente morire». Dalla Grecia, dopo due tentativi andati a vuoto, Ali riesce a prendere un volo per l’Italia, arrivando infine al Centro federale d’asilo di Chiasso. 

Ricominciare - «Nei primi quattro anni in cui ero qui pensavo sempre all'Afghanistan, è stato difficile lasciarsi tutto indietro e ripartire da zero. A Herat lavoravo in televisione, ero conosciuto e stavo bene finanziariamente. Ora ho accettato che devo vivere nel presente e sto bene».

«Mia mamma è morta e io non c'ero» - Anche in Ticino non è però tutto rose e fiori. Per la Confederazione Ali non è infatti oggetto di persecuzioni dirette nel suo Paese, perciò non è stato riconosciuto come rifugiato e non ha ottenuto il permesso B. È stato accolto a causa della guerra e delle violazioni dei diritti umani che avvengono giornalmente in Afghanistan, ottenendo il permesso F. «Con il mio tipo di permesso di soggiorno devo sottostare a regole molto rigide: non posso, ad esempio, uscire dalla Svizzera». E le conseguenze sono pesanti: «Tre anni fa mia mamma si è ammalata, aveva problemi di cuore, così ho chiesto un permesso speciale per andare in Iran e vederla un’ultima volta. Ho fatto domanda tre volte, ma mi è sempre stata rifiutata e mia mamma è morta. Non ho potuto starle vicino nei suoi ultimi momenti e questo mi ha fatto soffrire moltissimo».

Un caso drammatico, questo, che purtroppo non rappresenta un unicum. «Abbiamo avuto un utente, qui in Ticino, che aveva un tumore ed era in fin di vita. Ha chiesto il permesso di andare in Turchia a salutare le figlie e gli è stato negato», racconta Benzoni di SOS Ticino.

Una burocrazia spietata - «Per ottenere questi permessi speciali bisogna avere il via libera sia del Cantone sia della Segreteria di Stato della Migrazione. E riceverlo non è facile», spiega l'assistente sociale. «Occorre presentare svariati documenti che spesso per i nostri utenti, anche con il nostro aiuto, sono difficili da reperire». Le autorità chiedono, ad esempio, un documento nazionale, «ma molti migranti finiscono per perderlo durante il viaggio». Alcuni, addirittura, «non l’hanno mai avuto» perché non sono stati registrati regolarmente nel loro Paese di origine. E i casi particolari non mancano: «L’ambasciata afghana in Svizzera non rilascia più nuovi passaporti da un anno: dopo il ritorno al potere dei talebani non hanno infatti più ricevuto i libretti sui quali devono essere stampati». Per quanto concerne i casi relativi a una malattia va poi presentato un certificato medico, ma «non di rado le patologie descritte vengono giudicate come non sufficientemente gravi per giustificare il viaggio».

In Ticino non è inoltre possibile ottenere un permesso B, che dà maggiore stabilità e la possibilità di uscire dal Paese, con un semplice contratto di apprendistato. Al contrario, ad esempio, di quanto accade nel canton Zurigo. «Per il B in Ticino è richiesto un contratto a tempo indeterminato», spiega Benzoni. «Inoltre bisogna dimostrare di essere economicamente indipendenti, il che è impossibile con uno stipendio da apprendista».

Hiam, 49 anni, viene invece dalla Siria e ha quattro figli. Si trova in Svizzera dal 2016 e risiede a Lugano. Attualmente fatica a trovare lavoro ed è in assistenza. Come Ali, detiene il permesso F per persone ammesse provvisoriamente.

«Sentivamo le bombe» - «Vivevo a Damasco con la mia famiglia e stavamo bene. Poi è scoppiata la guerra e abbiamo sentito il rumore delle esplosioni farsi ogni giorno sempre più vicino. Per questo abbiamo deciso di scappare in Libano». L’idea, sottolinea, «era di tornare a casa dopo qualche mese, ma la guerra non si fermava». Così, dopo quattro anni, la famiglia di Hiam si sposta in Turchia, attraversa il mare fino alla Grecia e, dopo un lungo viaggio, arriva in Svizzera.

«Nessuna discriminazione» - «Sono onorata di vivere in un Paese che mi ha dato sicurezza e protezione», afferma Hiam. «In Ticino la gente è molto gentile e aperta e non mi sono mai sentita discriminata. Qui ho trovato una mia comunità: partecipo alle attività della moschea, dove insegno l'arabo».

Anche Hiam, però, soffre il fatto di non poter uscire dalla Svizzera. «Uno dei miei figli vive in Germania e non possiamo andare da lui».

Al fianco dei migranti
Gli operatori sociali di SOS Ticino supportano gli utenti richiedenti l’asilo e rifugiati nella seconda fase del processo di integrazione, che avviene al di fuori dei centri d’accoglienza collettivi, e si attivano nel seguito sociale delle persone accompagnandole nella gestione delle loro richieste e dei loro problemi quotidiani in ambito sanitario, sociale, scolastico e giuridico in collaborazione con le istituzioni e i servizi preposti. In base alla situazione della persona gli operatori propongono dei percorsi
di integrazione individuali, attivando misure di integrazione in ambito sociale, formativo o lavorativo. I servizi di accompagnamento lavorano su mandato della Divisione della sanità e della socialità (DSS) del Canton Ticino.

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