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CANTONECome ritrovare il “bambino in sé” con la clownerie

17.06.22 - 08:25
L’appello di Emmanuel Pouilly, docente di clownerie dell’Accademia Dimitri: «È vitale ritornare bambini»
Accademia Dimitri
Come ritrovare il “bambino in sé” con la clownerie
L’appello di Emmanuel Pouilly, docente di clownerie dell’Accademia Dimitri: «È vitale ritornare bambini»

“Ritrovare il bambino in sé” attraverso il gioco e la fantasia. È questo l'obiettivo di Emmanuel Pouilly, docente di clownerie dell’Accademia Dimitri. Un invito rivolto a tutti in occasione della giornata mondiale della giocoleria che si è celebrata ieri.  «La clownerie – afferma Emmanuel Pouilly - può aiutare in questo. Inoltre, le persone hanno bisogno di lavorare su sé stesse, di ritrovarsi facendo qualcosa di utile e piacevole, mettendosi in contatto sia con le proprie abilità che con le proprie incapacità per divertirsi». Per Emmanuel Pouilly si tratta di una vera e propria arte vitale. «La clowneria è un gioco, è ritrovare il sentimento di quando eravamo bambini. Quando abbiamo scoperto le cose con curiosità, senza giudicare. Siamo passati da un’emozione all’altra in modo spontaneo. Senza premeditazione. La clowneria è ritrovare questi momenti. È fondamentale perché ci permette di guardare il mondo senza mettere dei parametri. Con uno sguardo nuovo, puro». Concetti che conosce molto bene anche Emanuel Rosenberg, che lavora in diversi contesti con persone con e senza disabilità. Lo scopo in questo caso è creare momenti di gioia e spensieratezza in cui si percepisce che si è liberi e non troppo immersi in situazioni complesse. «Quando le persone con disabilità, spesso invisibili alla società, capiscono di essere padroni delle proprie sfortune facendo ridere sé stessi e gli altri, si sviluppa un grande senso di rivincita e accresce la loro autostima».

È proprio così Emmanuel Pouilly, la clownerie ha un effetto terapeutico?

«Sì, perché aiuta a prendere fiducia in sé stessi. È l’arte di imparare a ridere dei propri difetti. Fare virtù delle proprie incapacità. Ci permette di accettare i nostri limiti, che diventano qualità. Non è un lavoro facile. Ma ridere dei propri difetti ci permette di guardare il mondo sotto un altro aspetto».

Pensa che questa professione possa acquisire più valore?

«Sì. Non noto un disprezzo, ma spesso si dice “non fare il clown in classe” con un’accezione negativa. Perché di solito siamo troppo seri. Non che il lavoro di clown non sia serio e impegnativo. Infatti, è un lavoro a 360 gradi che coinvolge diverse discipline: musica, acrobazia, danza, canto, movimento, pantomima e improvvisazione».

Spesso i clown sono associati ai bambini, come è possibile avvicinare anche gli adulti alla clownerie?

«Potrebbero lasciare per un momento la maschera che si sono creati per affrontare le difficoltà della vita e provare a ritrovare il sentimento di scoperta, di gioia e felicità. Proprio come un bambino. Ognuno ha delle strategie per sopravvivere. Questo mondo non è facile, lo sappiamo. La maschera che ci costruiamo forse ci protegge da un lato, ma ci impedisce anche di trasmettere ciò che siamo. Tutto ciò non succede con il bambino, che passa da un momento di gioia, di scoperta a un momento di tristezza assoluta perché non ha ancora sviluppato una maschera per difendersi, per sopravvivere».

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