Denise Frey ha fatto una scelta decisamente fuori dal comune. Oggi dirige l'azienda di ponteggi ereditata dal padre
MEDEGLIA - Più facile osare, quando sei in un certo senso "figlia d'arte". Eppure anche lei, sulle prime, aveva deciso di votare la sua vita a un ripiego. «Ho iniziato un apprendistato di commercio, nel 2011. Pensavo che potesse darmi più opportunità, anche in altri ambiti. E un po' sì, ha contato anche il pregiudizio. Ma poi ho capito che non era la mia strada».
Denise Frey, 22 anni, di Medeglia, ha concluso lo stesso il suo percorso; ma nel frattempo ha cominciato ad andare in cantiere, a salire sui ponteggi. «Non sarei quella che sono oggi, se non avessi "sbagliato". La consapevolezza non poteva arrivare subito, né all'inizio avrei pensato che sarebbe finita così». Invece l'anno scorso è diventata la prima ponteggiatrice del Ticino; e della Svizzera. «Il mio diploma è policostruttrice e montatrice di ponteggi; purtroppo però in Ticino come professione non è riconosciuta. Ho frequentato la Spai di Trevano, prima di me aveva preso il diploma solo un ragazzo, nel 2016. Ma la situazione è complicata. Faccio parte della Società Ticinese Imprenditori di Ponteggi (STIP), cerchiamo di lottare e guadagnarci lo spazio che meritiamo, ma è dura».
Ultima (e unica) di dieci fratelli - Oggi Denise dirige l'azienda di ponteggi ereditata dal padre, unica (e ultima) di dieci fratelli - sette maschi, tre femmine - che fanno tutt'altro. «Nessuno di loro ha mai visto bene questa professione. Perché è faticosa. E io come faccio? Per me è una passione», risponde candida, se le chiedi com'è possibile che a lei e a lei proprio, la più piccina e dunque coccolata di famiglia, piaccia sudare e sollevare pesi. «In ufficio non riuscivo a sentirmi bene. Sapevo tutto quello che succedeva fuori, ma in realtà non sapevo niente per davvero. Conoscevo i metri quadrati di ponteggio, dove e come veniva realizzato, ma non potevo capire davvero che cosa significasse. Non comprendevo che cosa succedeva veramente».
Un giorno non ce l'ha fatta più. Ha deciso di uscire, tornare là dov'era cresciuta. A questo punto risulta un po' più facile anche a noi capire. «Io sui ponteggi ci sono quasi nata - racconta - Mio papà mi portava fin da bambina, ho molti ricordi». Ed eccola d'un tratto a fare quello che in passato aveva visto fare agli altri. «Scarico il materiale dal furgone, lo trasporto, monto il ponteggio. Si comincia alle 6.30, si finisce quando si finisce. Ultimamente, mai prima delle 17.30».
Oltre i pregiudizi - Due persone, lei e un collega. «Essere in due mi ha aiutato molto. Di norma la squadra è composta di tre persone. Ma io sarei stata "la terza", quella che viene messa ai margini. Così, invece, devo per forza lavorare e gli altri lo devono accettare». Cosa non scontata. «È così discriminante. Nei primi tempi mi è capitato anche che qualcuno mi dicesse "No, tu li sopra non sali". Se mi vedono scaricare roba pesante, corrono subito a darmi una mano. Continua a essere visto come un lavoro inadatto a una donna. Ma io non voglio aiuto, non voglio trattamenti di favoro. Preferisco metterci un minuto in più, ma fare da sola».
Ogni decisione è responsabilità è sua: «Come fare il ponteggio, che tipo di materiale usare, eccetera. Ma io preferisco fare il manovale». Ormai i clienti la conoscono, non obiettano più né si preoccupano troppo. «Certo, la forza conta. Se un operaio uomo può sollevare due assi o due cavalletti, io uno. Ma chi lavora con me lo sa, ci ha preso la mano». Basta accettare i propri limiti, che non sono un alibi. «Una donna può fare quello che vuole, se lo desidera. Io non tollero gli uomini che vogliono essere "di più"».
Fidanzati? «È difficile» - Così, anche trovare un fidanzato diventa un'impresa. «Ce l'avevo. Ci siamo lasciati. Ma il lavoro non c'entra. Lui mi aveva sempre appoggiata. Ma la maggioranza, invece, rifiuta una donna che faccia un lavoro maschile. Si sente sminuta. Non si sentono abbastanza uomini, con una donna che si comporta come loro». Non è questione di femminilità mancata, dice, che anzi si può continuare a coltivare. «Mi curo. Provo a tenere le unghie lunghe. A volte, con il lavoro che faccio, si spaccano e devo tagliarle. Trucco no, si squaglierebbe. E i capelli in cantiere è difficile tenerli sciolti. All'inizio avevo anche qualche remora, ad esempio a toccare cose poco pulite. Ora no. A fine giornata, se sono sporca, non mi interessa. In fondo gli uomini lo fanno senza troppe storie, perché una donna non dovrebbe».
E gli amici? «Ho sempre avuto in prevalenza amici maschi. Quando ho deciso di fare questo mestiere l'hanno presa bene. Il problema sorge quando conosci nuove persone. Allora arriva puntuale la domanda "Ma perché lo fai?". Oppure: "Ma tu stai sempre in ufficio, vero?".