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USAPiergiorgio Tami insignito del titolo "Anti-traficking hero"

23.07.04 - 07:50
Come liberare gli schiavi del XXI secolo? Lunedì scorso Colin Powell ha presentato un rapporto sul traffico di esseri umani. In Cambogia il fenomeno si aggrava.
Tami e Powell
Piergiorgio Tami insignito del titolo "Anti-traficking hero"
Come liberare gli schiavi del XXI secolo? Lunedì scorso Colin Powell ha presentato un rapporto sul traffico di esseri umani. In Cambogia il fenomeno si aggrava.
di Roberto Giannetti

Un ticinese è stato eletto «Eroe nell'impegno contro il traffico di esseri umani» dal Governo degli Stati Uniti. Si tratta di Piergiorgio Tami, missionario laico in Cambogia dal 1993, che ha ricevuto questo riconoscimento negli scorsi giorni direttamente da Colin Powell, segretario di Stato americano. Quest'ultimo, nel suo discorso di presentazione del rapporto 2004 su questa dolorosa piaga moderna, ha detto chiaramente che dopo la lotta al terrorismo, quella al traffico di esseri umani è la seconda grande priorità del governo americano in politica estera. Piergiorgio Tami ha fondato dieci anni fa a Phnom Penh uno «shelter» (rifugio), per accogliere donne e bambini abbandonati, per poi creare imprese che forniscono i fondi per l'aiuto umanitario e lavoro per le persone bisognose. Un esempio di imprenditorialità messa al servizio dei bisognosi. Le attività condotte da Piergiorgio Tami vengono sostenute in Ticino dall'associazione ABBA con sede a Corzoneso.

Com'è oggi la situazione in Cambogia? È molto esteso il traffico di esseri umani?
«Nel campo del crimine organizzato la situazione si sta aggravando in modo preoccupante. C'è un aumento del traffico di bambini e di donne (destinati alle case di tolleranza) sia all'interno del paese sia con destinazioni all'estero».

Qual è il suo lavoro e come agisce in questo campo?
«Da una decina d'anni operiamo con programmi specifici di protezione e di aiuto destinati soprattutto alle donne e alle persone vulnerabili. Abbiamo anche programmi speciali rivolti particolarmente alla protezione di bambini vittime di abusi sessuali e di violenza. Si tratta di bambini dai tre anni di età fino a giovani di sedici anni, che spesso sono venduti all'estero».

Come operate in concreto nel vostro Centro?
«Si tratta di un rifugio, attivo da dieci anni, nato inizialmente per ospitare le mamme e i bambini raccolti sulla strada. Poi è stato esteso a mamme e bambini provenienti dalle bidonville e ultimamente abbiamo registrato un aumento di giovani donne vittime del traffico di esseri umani e di stupri. Soprattutto questi ultimi casi (violenze sessuali) stanno aumentando in maniera impressionante e colpiscono sia donne sia bambini. Abbiamo inoltre un programma specifico per bambini che non hanno più genitori, o che non possono più essere ricongiunti con gli stessi perché rischierebbero di essere nuovamente venduti, che si basa su famiglie affidatarie nelle quali vengono collocati i bambini dai tre ai sedici anni. Trattiamo anche richieste da parte del governo e di agenzie internazionali (che operano nel campo dei diritti umani) che ci portano bambini vittime di questi traffici».

Come mai si sta registrando proprio adesso questo aumento di casi di violenze?
«Uno dei motivi è la povertà endemica che affligge il paese, poi ci sono l'ignoranza, la mancanza di lavoro, il background di trent'anni di guerra e di violenza. Siamo di fronte a una autentica cultura di violenza dove non ci sono più valori, né moralità, e quindi il campo è fertile per il crimine organizzato. Phnom Penh oggi è la capitale del sesso a buon mercato, della pedofilia. Ci sono anche poche leggi e a causa della corruzione dilagante si può fare quel che si vuole in una situazione di quasi impunità. Va però detto che ultimamente, grazie alle pressioni di alcuni governi stranieri, tra cui quello statunitense, e al grosso lavoro di molte organizzazioni internazionali, il governo cambogiano si vede sempre più costretto ad agire per cercare di mettere un freno a questa situazione di illegalità. Ma per il momento la situazione è ancora allarmante».

Che cosa fate con le persone che recuperate grazie al lavoro del vostro Centro?
«Una volta che queste persone sono nelle nostre strutture o in una famiglia affidataria le seguiamo molto sia dal punto psicologico, con terapie ad hoc, sia dal punto di vista dell'educazione, considerato che nel 99 per cento dei casi si tratta di analfabeti. Ma soprattutto forniamo un aiuto globale, un sostegno alla persona nel suo insieme, con terapie volte a ridare loro la fiducia in sé stesse. Entro sei mesi il Centro cerca poi di offrire agli ospiti adulti una formazione professionale e un posto di lavoro, mentre per quanto riguarda i bambini che erano stati venduti in tenera età si fa in modo che possano rimanere in una famiglia affidataria sino ai diciotto anni».

Lottare contro queste organizzazioni criminali è anche pericoloso. Avete avuto dei problemi sotto questo punto di vista? Avete ricevuto voi stessi minacce o saputo di minacce rivolte ad altri?
«La nostra filosofia e il nostro tipo di lavoro non ci fanno trovare direttamente al fronte nella lotta ai trafficanti e ai tenutari di bordelli, che tra l'altro sono spesso protetti da alti funzionari del governo o della stessa polizia. Il nostro lavoro si svolge dietro le quinte, senza clamori e pubblicità. Noi interveniamo dopo la liberazione delle vittime quindi non attiriamo su di noi le ire delle organizzazioni criminali. Dobbiamo comunque agire con saggezza e prudenza, anche per non mettere in pericolo l'incolumità dei nostri protetti. Questo è uno dei motivi per cui non cerchiamo di fare troppa pubblicità al nostro lavoro. Noi non lottiamo "contro" qualcuno ma "per qualcuno"».

Cosa potrebbe fare una persona da qui, in Svizzera, contro questi traffici di persone?
«I traffici sono ormai internazionali, molto ben organizzati, e non conoscono frontiere politiche né etniche. Quel che si può fare da noi, come in altri paesi, è sforzarsi di sensibilizzare le persone. Anche in Svizzera e in Ticino ad esempio, da quando si è iniziato a diffondere informazioni in modo capillare sul problema della pedofilia, tutta la società è oggi molto più sensibilizzata. Altra cosa che si può fare sul piano concreto è una raccolta di aiuti da destinare ai Centri che si dedicano al recupero di queste vittime. Questo genere di lavoro è difficile e soprattutto molto a lungo termine e costoso, perché non si tratta solo di offrire un aiuto materiale ma anche psicologico e di sostegno morale parecchio impegnativo e a lungo termine».

Come mai siete stati scelti come esempio dal governo americano? Avete sviluppato competenze particolari?
«Con il nostro programma Agar noi ci impegniamo proprio nell'aiutare le persone che hanno passato queste terribili esperienze. Il consigliere di Colin Powell, John Miller, direttore del programma del governo americano contro il traffico di esseri umani, è venuto a visitare il nostro Centro ed è rimasto molto colpito dal nostro programma. Da noi ha potuto vedere come le vittime che erano state nel giro della prostituzione ed avevano subito ogni genere di violenza, oggi grazie alla nostra opera hanno un posto di lavoro, guadagnano, hanno ritrovato il sorriso e soprattutto la loro dignità. È così che Miller ha deciso di inserirci nel suo rapporto annuale che è sfociato nel riconoscimento da parte dello stesso Colin Powell.

Qual è la motivazione che vi spinge a lavorare in questo ambito così difficile?
«La nostra motivazione è semplicemente quella di fare giustizia per i bambini abusati, di salvare i deboli e i bisognosi dalla mano di chi fa loro del male, come recita il Salmo 82, nel quale io trovo forza e ispirazione per la mia missione. Questo salmo recita: Difendete il debole e l'orfano,al misero e al povero fate giustizia. Salvate il debole e l'indigente, liberatelo dalla mano degli empi».

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