Giuseppe Cotti, vicesindaco di Locarno e candidato al Consiglio nazionale per il Centro
La neutralità è uno dei tanti paradossi di questo magnifico Paese: è una costante nella nostra Storia, ma nel contempo rimane sempre un tema delicato da discutere. A partire dal febbraio 2022, la politica ha dovuto riscoprire che questa postura geopolitica, per quanto amata, deve sempre essere adeguata ai tempi – e che è illusorio trattarla come una dichiarazione scritta nella pietra, immune allo scorrere del tempo.
Dobbiamo sempre tenere a mente che la neutralità svizzera è sempre stata un mezzo, non un fine in sé. È una strategia che abbiamo scelto perché la consideriamo la migliore, quando si tratta di perseguire i nostri interessi e difendere i valori in cui crediamo. Per questo motivo, è fondamentale per la Svizzera rimanere flessibile, nel quadro di linee guida ben definite – il che è ben diverso dal pretendere una totale libertà d'azione. È una via complicata ma pragmatica, e con il pragmatismo che ci contraddistingue oggi siamo chiamati ad ammettere che la nostra neutralità zoppica – e che ci sono due ragioni precise per questa crisi.
Per prima cosa, il diritto di neutralità si fonda su due Convenzioni oltremodo obsolete (risalgono al 1907!), concluse quando ancora il diritto internazionale considerava la guerra un mezzo accettabile con cui gli Stati potevano affermare i rispettivi interessi. Inutile dire che, da allora, il mondo è profondamente cambiato. Il secondo fattore che provoca la crisi della neutralità è invece tutto contemporaneo: si tratta della confusione che regna sul tema, alimentata anche dall’atteggiamento del Consiglio federale. Mi disturba per esempio l'approccio dimostrato nel trattare le sanzioni contro la Russia adottate dall'Unione Europea. Nel giro di appena una notte, il nostro Governo si è adeguato alle decisioni di Bruxelles. Mi pare impossibile che in così poco tempo ci sia stata una riflessione approfondita sul da farsi: piuttosto, si è trattato di una reazione impulsiva.
Un approccio così poco meditato solleva preoccupazione, specialmente per un piccolo Paese che è un punto di riferimento internazionale per la diplomazia. La Svizzera avrebbe potuto e dovuto mostrare più cautela: prima di adottare le sanzioni, sarebbe stato meglio stabilire canali diplomatici per contribuire a disinnescare il conflitto. Purtroppo, l'adozione delle sanzioni ha azzerato lo spazio a nostra disposizione per cercare di aprire un simile canale.
Più in generale, mi pare chiaro che sulla neutralità manca assolutamente chiarezza: verso l’interno e verso l’esterno. Il Parlamento è sicuramente corresponsabile di questo stato di cose, visto che sembra dominare al suo interno un approccio improntato alla ricerca di visibilità personale e alla cosiddetta «twitter diplomazia». Molti dei nostri parlamentari pretendono che il DFAE prenda posizione all’istante su qualsiasi evento a livello internazionale (come, ad esempio, la crisi iraniana o quella fra Taiwan e Cina), ignorando che la diplomazia ha tempi che non corrispondono a quelli dell’indignazione sui social media.
È in questo quadro non limpidissimo che ora si inserisce anche un’iniziativa dell’UDC, che se non sceglie il momento migliore di certo ha però un merito: obbliga tutti a mettere le carte in tavola e a discutere apertamente dei loro orientamenti di lungo periodo. Inoltre, il testo rispetta esplicitamente gli obblighi della Svizzera nei confronti dell'ONU.
Personalmente, potrei essere d'accordo con l’impostazione adottata dagli iniziativisti, ma solo ad alcune condizioni. È importante che il Consiglio federale mantenga la facoltà di esercitare un proprio giudizio, se un membro permanente del Consiglio di sicurezza ONU dovesse esercitare il suo diritto di veto. In passato, l'UDC ha giustamente sollevato preoccupazioni riguardo al comportamento delle superpotenze, e anche nel discutere questa iniziativa occorre agire nell’interesse della Svizzera e del suo margine di manovra – a vantaggio dei nostri interessi e della nostra tradizione diplomatica.
Giuseppe Cotti, vicesindaco di Locarno e candidato al Consiglio nazionale per il Centro