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«Se lo vedi camminare ti spaventi. Il ghiaccio è il suo habitat naturale»

NHL, KHL, oro Olimpico e Mondiale: l'Indimenticabile Pavel Datsyuk, diventato grande tra Russia e Detroit, ha vinto tutto
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«Se lo vedi camminare ti spaventi. Il ghiaccio è il suo habitat naturale»
NHL, KHL, oro Olimpico e Mondiale: l'Indimenticabile Pavel Datsyuk, diventato grande tra Russia e Detroit, ha vinto tutto
Mani d’oro e «la capacità di prevedere quello che succede in pista». Tsygourov: «Pavel parla la lingua dell'hockey, lì è tra i migliori. In quella umana un po' meno...».
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EKATERINBURG - Una scelta al Draft può cambiarti la vita. Lo sanno bene squadre come Chicago e Pittsburgh, che tra il 2003 e il 2007 hanno dato origine entrambe a epoche d’oro grazie alle chiamate ravvicinate di Kane e Toews (sponda Blackhawks) e del trio Crosby, Malkin, Fleury per i Penguins. Tutto vero, ma qui si parla di scelte ai primissimi posti, di luci luminosissime e tutto sommato facili da individuare. La nostra storia è diversa ed è quella di un campione che viene da lontano, che ha dovuto superare momenti duri. Per restare in tema pasquale diciamo pure un coniglio estratto dal cilindro dai Detroit Red Wings, unica franchigia che decise di puntare su di lui. 

Siamo nel 1998 e al primo posto assoluto viene scelto da Tampa Bay un certo Vincent Lecavalier (giù il cappello). Nel Michigan al primo giro puntano sul difensore Jiri Fischer, che non ha scritto la storia ma negli anni ha dato comunque il suo onesto contributo. Al secondo turno si va su Ryan Barnes e Tomek Valtonen. Due presenze in due in NHL in tutta la carriera. La lista scorre e al sesto round - all’alba del 171esimo posto - arriva lui, il russo Pavel Datsyuk. Un Indimenticabile dello sport, un attaccante completo che fa parte del “Triple Gold Club” - coloro che hanno vinto Olimpiadi, Mondiali e Stanley Cup - e che nel 2017 è stato inserito nella lista dei 100 più grandi giocatori della storia della NHL. Ma a volte le strade non sono in discesa…

Le origini di Magic Man

La sua, ormai l’abbiamo capito, non è la storia di un predestinato. Tutta rose e fiori. In Russia trova spazio nell’organizzazione dell’Ekaterinburg - nella città dove è nato - ma non ruba subito l’occhio a tifosi e scout. Poi la storia cambia. Nel 1998 Hakan Andersson, commissionato dai Red Wings, è a Mosca per visionare il difensore Dmitri Kalinin. Si gioca, ma a fine partita sarà un altro giocatore a finire sul suo taccuino: “Il piccoletto nell’altra squadra”. Era Pavel Datsyuk: non un “frigorifero” di 190cm x 100kg come spesso andava di moda a quei tempi, ma un centro two-ways di 180cm con una visione di gioco impressionante. 

Per spiccare il volo

Detroit lo ha draftato e messo nei suoi radar, ma alla fine degli anni ‘90 vive stagioni con poche presenze e tanti infortuni, dovendo anche ripartire dalla terza serie russa per ritrovare gradualmente ghiaccio. Dopo il Draft del ‘98, per sbarcare oltreoceano, gli serviranno quindi altri due anni e la tappa fondamentale al Bars Kazan, di cui vi parleremo dopo col nostro ospite.

Oltreoceano

Nel 2001 scocca finalmente la sua ora e viene accolto nel Michigan dai suoi mentori (nonché connazionali) Sergei Fedorov e Igor Larionov. È la squadra capitanata da Steve Yzerman, che nella sua fila contava anche Brendan Shanahan, Brett Hull - suo compagno di linea - e l’ex coach del Lugano Uwe Krupp. Nella prima stagione firma 41 punti e aiuta Detroit nella conquista del titolo. Negli anni seguenti si ritaglierà un ruolo sempre più importante nei Red Wings, diventandone leader tecnico insieme a Zetterberg e chiudendo annate da oltre 100 punti. Bravo agli ingaggi, dominante a livello di plus/minus, mani fatate con la capacità di mandare letteralmente “a spasso” gli avversari. Dal 2006 al 2016 porterà la “A” sul petto e sarà tra i protagonisti assoluti della Stanley vinta nel 2008, con una stagione dal 120 punti (41 reti). Col suo livello di gioco e la sua sportività vincerà anche per 4 stagioni di fila il Lady Byng Trophy (Gentleman conduct).

ImagoNHL (2002, 2008), KHL, oro Olimpico e Mondiale: l'Indimenticabile Pavel Datsyuk, diventato grande tra Russia e Detroit, ha vinto tutto.

Nel 2016, dopo 14 stagioni a Detroit (918 punti in 953 partite) e due parentesi in Patria per i lockout, lascerà definitivamente l’America per tornare in Russia, come capitano degli Ska St.Pietroburgo. In tempo per vincere una KHL nel 2017 e, sempre con la "C" sul petto, guidare la sua nazionale nella cavalcata olimpica a Pyeongchang (oro). Gli ultimi balli (2020-21) nel suo club d'origine. 

«Prima di andare ai Red Wings ha passato una stagione a Kazan ed è stata la svolta», ci spiega il 58enne ex difensore russo Dmitri Tsygourov, che con la maglia del Kazan ha giocato tre campionati. «Lo hanno preso grazie all’insistenza di Vladimir Krikunov, che all’epoca allenava il Bars e credeva in lui. Hanno preso un giocatore magrolino e tutto rotto, che arrivava da un serio infortunio al ginocchio. Un giovane promettente, ma ferito. Hanno investito quasi un anno per aiutarlo nella riabilitazione. Gli hanno pagato le cure e hanno creduto in lui. Per tanti la sua carriera era già finita ancora prima di cominciare. In un anno invece è diventato grande. Ha fatto un’ottima stagione e poi il grande salto a Detroit. Il resto è storia…».

Oggi come viene visto in Russia?

«Pensate che Pavel non solo è un membro della Hall of Fame e del Triple Gold Club, ma è l’unico giocatore che può aggiungerci anche la Gagarin Cup. È stimatissimo. Ha vinto tutto e per lui sarebbe stato facile continuare la vita negli States. Ricco e famoso. Ma non è fatto così. Ha voluto finire la carriera nell’Avtomobilist Yekaterinburg, suo club d’origine e nella città dov'è nato, della quale è cittadino onorario. Adesso è capo dello sviluppo sportivo della società. Gestisce l’Academy. Sono un grande amico del Team Manager Dmitri Popov, che proprio ieri ho contattato e mi ha spiegato quanti siano soddisfatti del suo operato. Aiuta il club anche a livello d’immagine, per attirare l’attenzione delle autorità e degli sponsor, che investono nelle infrastrutture sportive. Una delle arene ora ha il suo nome».

C’è un giocatore che gli somiglia?

«A livello puramente tecnico, per rimanere collegati alla realtà Svizzera, vi dico Linus Klasen. Mi riferisco alla visione di gioco e alle Skills col bastone. Sono quei giocatori capaci di prevedere tutto quello che succede sul ghiaccio. Linus però era un’ala, mentre Pavel, sicuramente più completo, giocava centro dando un grande aiuto anche in fase difensiva».

Si dice che Krikunov, suo coach al Bars Kazan, lo scelse dicendo che voleva quel “giocatore che camminava in maniera un po’ strana e nervosa”.

«Se vedi Datsyuk sul ghiaccio e fuori sembrano due persone diverse. In pista si trova nel suo habitat naturale, c’è poco da fare. Se lo guardi camminare ti spaventi. Sembra un paziente che sta andando a fare fisioterapia… Poi, come persona, è umile e molto chiuso. Parla poco. Sul ghiaccio è diverso. Noi diciamo che parla la lingua dell’hockey. Lì è tra i migliori. Mentre nella “lingua umana” diciamo di no… (ride, ndr)».

ImagoBravo agli ingaggi, dominante a livello di plus/minus, mani fatate e la capacità di mandare “a spasso” gli avversari: questo era il giocatore Pavel Datsyuk.
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COMMENTI
 

sergejville 1 sett fa su tio
Tecnica (skills inclusi), pattinaggio e visione da autentico fuoriclasse.
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