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L'INTERVISTA«Croci-Torti era già matto, matto ma bravo»

10.10.23 - 06:30
Il guerriero Walter Samuel e la seconda vita cominciata a Lugano: «Ora vivo alla giornata»
Imago
«Croci-Torti era già matto, matto ma bravo»
Il guerriero Walter Samuel e la seconda vita cominciata a Lugano: «Ora vivo alla giornata»
«Con la tecnica, anche se sei Zidane, arrivi fino a un certo punto. Se non accompagni il talento con il lavoro, gli altri ti mangiano»
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MILANO - Tifoso o meno, chi ha attraversato con curiosità l'ultimissimo scampolo del vecchio millennio e i primi 15 anni di quello nuovo, sa chi è Walter Samuel.

Hombre vertical partito dal piccolo "pueblo" di Laborde, l'argentino è infatti riuscito a recitare da protagonista sui palcoscenici più prestigiosi del mondo. E insieme agli attori più bravi del mondo. Tanto ruvido quanto dominante, l'ex difensore ha infatti diviso lo spogliatoio con fenomeni del calibro di Maradona, Caniggia, Riquelme, Ronaldo, Figo, Zidane, Beckham, Totti, Recoba, Veron, Adriano, Vieira, Ibrahimovic, Crespo, Zanetti, Montella, Cassano, De Rossi, Guardiola, Batistuta. E ci fermiamo qui per non rubare troppo spazio alle sue parole. 

«Tutto è cominciato come un gioco - ci ha raccontato proprio Walter, oggi serenissimo 45enne - alla fine è diventato un lavoro. Un lavoro che mi ha dato piacere e che, nonostante le responsabilità, mi ha permesso di divertirmi. Il calcio è stato tutta la mia vita».

Tanto campo, poi l'età...
«Ho terminato con il Basilea, dove nonostante gli acciacchi ho vissuto due anni molto belli, condivisi con uno spogliatoio giovane e unito. Il primo mese dopo aver chiuso con il calcio giocato è stato un pochettino difficile. Non mi rendevo conto del cambiamento, i miei figli continuavano ad andare a scuola, mia moglie era a casa, tutti facevano la loro vita... Solo per me era cambiato tutto. Stavo tutto il giorno a casa. Mi mancava quello a cui ero abituato. Quel periodo è però fortunatamente durato poco: l'Inter mi ha chiamato per fare dello scouting, poi Pioli mi ha interpellato per la Prima squadra...».

E poi è stata la volta del Lugano.
«Io e Tami avevamo un amico in comune che lavorava al Team Ticino. Questo mi ha chiamato dicendomi: "Guarda, qui c'è Pier che sta cercando un vice e vorrebbe sapere se può parlare con te. Io sapevo chi era il mister perché avevo giocato contro il suo Grasshopper, ma non conoscevo altri. Arrivato a Lugano, ho seguito un allenamento, siamo andati a cena, ho incontrato anche gli altri componenti dello staff: Nico, Luca, Mattia...».

...Croci-Torti, che è ancora lì.
«E che è era già matto all'epoca. Matto ma bravo: sono felice per lui, per i risultati che sta ottenendo».

Ti abbiamo interrotto.
«Insomma, ho accettato subito la proposta. Con quello staff tecnico si è creato subito un bel gruppo, tanto che sento ancora tutti quanti. E con la squadra e la società è andata benissimo. Era come una grande famiglia. Anche ora mi pare sia così, nonostante sia cambiata la proprietà. Il Lugano per me è stato molto importante: è lì che ho cominciato a imparare a stare in panchina. A guardare le partite con occhio critico. Prima pensavo solo a giocare, poi una volta a casa facevo altro e se seguivo un incontro, lo facevo solo per divertimento». 

TI-Press"The wall" Samuel ai tempi di Cornaredo

Adesso invece...
«Quando sono davanti alla tv, sempre che in famiglia me lo permettano, mi accorgo di particolari che prima non notavo. Analizzo. E questo perché sono cresciuto. Anche grazie a Pioli, a Tami e adesso a Scaloni, con l'Argentina».

Hai giocato con alcuni dei giocatori più forti degli ultimi trent'anni. Ragazzi nati per il calcio. Ma anche con calciatori normali. Questi ultimi perché sono "arrivati"?
«Perché avevano altre qualità oltre a quelle tecniche. E perché il caso ha giocato in loro favore. Magari hanno fatto il provino perfetto, la partita giusta al momento giusto, hanno avuto un bravo agente... Anche a me è capitato. La mia carriera è cominciata perché, con il mio club, la squadra del mio paese, abbiamo fatto un'amichevole, una prova, a Rosario. Tutti insieme. E tra noi ne hanno scelti quattro. Se quel giorno non mi fossi presentato o non avessi giocato bene, magari la mia vita sarebbe stata diversa. A quella "partenza" poi ho però aggiunto del mio. Ho fatto sacrifici. Da ragazzo mi è capitato spessissimo di dover rinunciare alle uscite con gli amici per gli allenamenti o magari perché la mattina dopo avevo una partita. Il "via" è fondamentale, ma poi servono la testa, la mentalità e la disciplina. Con la tecnica, anche se sei Zidane - e Zinedine era eccezionale - arrivi fino a un certo punto. Se non accompagni il talento con il lavoro, gli altri ti mangiano». 

C'è qualcuno che hai incrociato che aveva talento ma non ha sfondato?
«Tantissimi, anche se non mi piace fare nomi. Non di quelli che non sono per nulla arrivati, almeno. Ne cito invece uno che ha avuto una buonissima carriera ma che, per le sue qualità, avrebbe potuto fare molto meglio: Matías Delgado».

Ex Basilea.
«In quanto a talento, ne ho visti pochi come lui. Aveva tutto. Avrebbe potuto giocare tranquillamente in Italia o Spagna. Mi sarebbe piaciuto vederlo misurarsi in uno di quei campionati. Evidentemente il caso non ha voluto che fosse così. Dopo Basilea è andato al Besiktas, all'Al-Jazira... avrebbe potuto ottenere di più».

Da giocatore, per te lo spogliatoio era un luogo sacro. Oggi, entrando in quello della tua Argentina, provi le stesse emozioni?
«Lo spogliatoio è il mondo dei ragazzi che giocano. È il loro spazio, che Lionel Scaloni, io e gli altri proviamo a non invadere. Ci entriamo se c'è necessità, per chiamare qualcuno. Ora il mio spogliatoio, se così vogliamo chiamarlo, è quello dove mi trovo con lo staff. È lì che mi sento a mio agio, che sono come a casa». 

Riguardando la tua carriera, hai sempre detto che il triplete è stato qualcosa di impareggiabile a livello di emozioni. Di inarrivabile. Lo scorso dicembre, seduto in panchina, hai però vinto il Mondiale...
«Il Mondiale è stato qualcosa di indescrivibile, anche per la situazione che stava vivendo il mio Paese. Che sta vivendo tutt'ora. Nella difficoltà c'è stata subito grande unione, grande solidarietà. Noi non siamo partiti benissimo, anzi abbiamo cominciato con una delusione enorme (sconfitta 1-2 con l'Arabia Saudita, ndr), ma non abbiamo ricevuto critiche. Battuti, ci siamo compattati, e attorno a noi si sono stretti tutti quelli che erano in Qatar, anche i giornalisti, e tutti i tifosi a casa. Si è creata una sorta di magia. Qualcosa di unico. Davvero sentivamo che ognuno stava provando a dare il suo contributo positivo. Questo ci ha tranquillizzati e ci ha dato forza e... siamo diventati campioni. Quando siamo tornati abbiamo visto scene impressionanti. Inimmaginabili. C'era tutto un mondo ad aspettarci. Di tutto ciò mi sono ovviamente sentito partecipe, ma non protagonista. È stato diverso dal triplete».

Lì eri in campo.
«Non è solo quello. È difficile da spiegare. Spesso riparlo di quei giorni con Diego (Milito) o Pupi (Javier Zanetti)... quasi non ci siamo resi conto di quel che ci stava accadendo. Giocavamo, giocavamo, giocavamo. Ogni tre giorni. Gli obiettivi si avvicinavano ma non c'era alcuna certezza. In una settimana potevamo vincere o perdere tutto: campionato, Coppa Italia, Champions. Siamo riusciti a rimanere uniti e concentrati e abbiamo trionfato. Siamo orgogliosi di quello che siamo stati in grado di fare; forse qualcuno riuscirà a ripeterlo in futuro, ma noi siamo stati i primi». 

Cosa farà da grande Walter Samuel?
«Per adesso non ci penso, vivo alla giornata. Ho fatto tutti i corsi per fare l'allenatore da solo, mi sono preparato... ma in questo momento, sinceramente, sto bene dove sono. Sto bene da secondo di Scaloni. Il futuro? Vediamo».

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COMMENTI
 

Massimo71 6 mesi fa su tio
Non mi è mai stato tanto simpatico ma devo dire che in questa intervista è venuta fuori la sua anima di guerriero ed una sana lettura sarebbe molto utile ai nostri giovani che si approcciano al calcio o ad altri sport.
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