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MUSICASandro Mai tra spensieratezza e nostalgia

06.11.23 - 06:30
È un gioiellino il primo album della band insubre, che tratta argomenti importanti in modo leggero e non banale
GAJA MARELLI
Sandro Mai tra spensieratezza e nostalgia
È un gioiellino il primo album della band insubre, che tratta argomenti importanti in modo leggero e non banale

TRESA - Undici piccole gemme di pop cantautorale melodico, con giusto una spruzzata qua e là di elettronica ma nel segno di molte chitarre e melodie ben definite. È "Esiste ancora la spensieratezza?", il disco che Sandro Mai ha pubblicato nelle scorse settimane.

In questo esordio sulla lunga distanza il duo di musicisti insubri (il varesino Alessandro Masci e il ticinese Andrea Cometti) si è affidato alla produzione e mix di Marco Ulcigrai. Un lavoro che parla del tempo e di come influisce sulla nostra vita, pensato come si faceva una volta: nella forma dell'album, con una visione complessiva unitaria. Vengono trattati argomenti complessi e importanti, ma in modo leggero e accessibile a tutti. Per saperne di più abbiamo fatto quattro chiacchiere con Cometti.

Andrea, diccelo tu: esiste ancora la spensieratezza?
«È una bella domanda. Abbiamo provato a rispondere quattro anni fa, ma una canzone non è stata sufficiente. C'è voluto un album per cercare di trovarla... e tuttora non ti saprei rispondere al 100%. Nel senso: esiste ancora la spensieratezza, ma sta a ognuno di noi ricercarla senza fossilizzarsi troppo sul passato, sulle cose che sono state e non torneranno più. Bisognerebbe ritrovare gli stimoli e i momenti di quando si era più giovani e, appunto, più spensierati».

La nostalgia può essere una chiave positiva per affrontare la quotidianità?
«Sì, infatti in questo lavoro affrontiamo quella nostalgia che spinge a ricercare le sensazioni di felicità che abbiamo già sperimentato. La nostalgia diventa quindi uno sprone ad attivarsi nel presente, senza piangersi addosso guardando a cosa è stato non sarà più».

Non è un concept album, ma non siamo poi così lontani.
«Sì, anche se in realtà non mi piace chiamarlo concept: per me è solo un album».

"Playlist" è per caso una riflessione critica (e auto-ironica) sulla musica contemporanea?
«È una canzone-manifesto, che racconta la situazione di tante band come la nostra: si fa tutto per bene ma è comunque difficile emergere dal contesto locale. Ti confesso che abbiamo rifatto il testo quattro-cinque volte, perché non riuscivamo a dare quel senso di leggerezza che non ci facesse sembrare dei boomer che si lamentano di tutto. Ed è il motivo che ci ha costretti a posticipare l'uscita dell'album: volevamo metterla a tutti i costi, ma l'abbiamo completata solo a Ferragosto».

Se pensiamo alla spensieratezza, non si può non citare "Al bar".
«È nata da una registrazione in presa diretta a Milano, nella quale abbiamo coinvolto tutti i nostri amici musicisti della zona per ottenere l'effetto coro. Cercavamo di trasmettere una sensazione di allegria, del cantare tutti insieme al bar».

"Luci di Natale" è una storia vera?
«È semi-vera. Lo spunto è una canzone di Dente nella quale racconta di essere stato fermato dalla polizia. Così è nata questa storia delle lucine natalizie scambiate per i lampeggianti delle pattuglie. Con tanto di aneddoto più o meno vero».

Cioè?
«Eravamo ragazzini e, sai com'è, capita di bere un po' più del dovuto. Fuori dal bar c'era questa luce blu, così abbiamo pensato che si fossero messi proprio lì davanti e che ci avrebbero beccato. Quindi abbiamo deciso di restare lì: sono passate due, tre e poi quattro ore e niente. Qualcuno poi è andato a vedere ed erano le luci della farmacia accanto».

 

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