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CINEMAGibus, nel nome del cinema

09.11.23 - 06:30
"Lo chiamavano Gibus" è il documentario che Jack Martin ha dedicato a Gino Buscaglia (e che in Ticino non sta trovando spazio)
GOODFELLAS MOTION PICTURES
Gino Buscaglia in "Lo chiamavano Gibus".
Gino Buscaglia in "Lo chiamavano Gibus".
Gibus, nel nome del cinema
"Lo chiamavano Gibus" è il documentario che Jack Martin ha dedicato a Gino Buscaglia (e che in Ticino non sta trovando spazio)

BELLINZONA - "Lo chiamavano Gibus" è il documentario che il regista ticinese Jack Martin ha voluto dedicare a chi, forse più di tutti, lo ha avvicinato al mondo del cinema: «il suo nome per tanti è Gibus», mentre per tutti gli altri è Gino Buscaglia. Una figura leggendaria per chi, in Ticino e non solo, ama e vive il cinema nelle sue varie forme: critico cinematografico alla Rsi, direttore artistico e poi presidente del festival Castellinaria, e molto altro ancora. Buscaglia racconta aneddoti su Visconti, Leone, Fellini e si racconta, dall'infanzia a Lecco e dintorni (con il primo impatto con la Settima arte) fino ai successi degli anni d'oro.

Ma lasciamo che sia il regista a parlarcene meglio, in vista della prossima proiezione che si terrà giovedì 16 novembre al Cinema Astra di Como. Seguiranno appuntamenti a Milano, Bologna, Firenze e perfino Roma.

A quando risale la vostra conoscenza?
«Io e Gino ci conosciamo da anni. Ero poco più che maggiorenne e, grazie a mio zio che lavorava in radio, andavo da lui a proporgli le mie prime sceneggiature. E lui me le segava tutte (ride, ndr). Nel tempo il nostro rapporto si è consolidato e, nel 2012, ha visto il nostro primo film ("Sine Imperio", ndr) e ha riconosciuto che ce l'avevamo fatta. Da lì in poi è sempre stato un ottimo giudice e consigliere. È apparso anche in un mio cortometraggio del 2016, nel quale interpreta il proprietario di una sala cinematografica che viene chiusa».

Come ha reagito quando gli hai proposto il progetto del documentario?
«Nell'estate 2022, alimentato anche dalla visione del meraviglioso "Ennio" di Tornatore, mi sono detto: "Sarebbe bello raccontare un personaggio delle nostre parti". La scelta è ricaduta ovviamente su Gino. Così, tra una chiacchierata e l'altra, mi ha detto sì. Con una sola indicazione: niente di pomposo, una conversazione sul cinema».

Quali sono gli aneddoti che hai filmato e ti sono rimasti più impressi?
«Una delle parti a cui sono più legato è quella che si apre con la sequenza del nostro corto, "Mr. G", e poi spiega perché i film vanno visti al cinema. È una spiegazione che mi trova assolutamente d'accordo: sono anni che combatto sull'importanza di andare in sala».

Cosa incarna, Gino Buscaglia?
«Penso che possa essere una guida e un consigliere per tante generazioni di apprendisti cineasti o semplici appassionati. Per quello che ha fatto a livello di critica, ma anche di cineclub. Bisognerebbe attingere a tutta questa esperienza e riproporla. Forse sarebbe fiero di ciò. Gino è una persona che sono fortunato ad aver incontrato sul mio cammino».

Il film ha debuttato a Lecco, adesso arriva a Como. C'è grande interesse in Italia: come ha reagito il Ticino?
«In Italia abbiamo effettivamente trovato un'apertura straordinaria nei confronti di questo documentario. In Ticino, invece, solo porte chiuse. Abbiamo proposto il film a partire dal dicembre 2022, ma nessuno ci ha risposto. Nemmeno la Rsi, per la quale Buscaglia ha lavorato per trent'anni in tv e radio. Mi spiace che l'ente pubblico ignori la sua stessa storia, considerando "fuori target" questo documentario». 

Come ha reagito Buscaglia?
«Non ne abbiamo mai parlato, ma immagino che a lui non abbia fatto un gran piacere».

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