Roosevelt narra la genesi del suo primo album, omonimo, in uscita il 19 agosto tramite Greco-Roman/City Slang/Phonag Records.
COLONIA - «Dopo avere preso parte a svariati progetti nel corso dell’adolescenza, a un certo punto, quando avevo 21 anni, iniziai a raccogliere le idee e a volere produrre qualcosa di più personale», mi spiega Marius Lauber, colui che in quel periodo, attorno al 2012, «in tutta fretta - dice - poco prima di uno show», decise di celarsi dietro allo pseudonimo Roosevelt.
In quegli stessi istanti, Marius incominciò a mettere a punto le sue prime composizioni, muovendosi all’interno di territori synth pop oriented, ammaliando, qualche tempo dopo, Joe Goddard degli Hot Chip, che lo portò con sé nella scuderia Greco-Roman - label di base sull’asse Berlino-Londra - dando alle stampe “Sea”, singolo che, d’un tratto, piombò all’interno dei club, così come in rete, generando migliaia e migliaia di ascolti...
Oggi, a quattro anni di distanza, Roosevelt sta per pubblicare il suo primo album: dodici tracce di ottima fattura, che ha costruito servendosi di strutture electro, synth-pop, disco, proiettandole verso un futuro ancora indefinito, eludendo riferimenti a qualsiasi forma di revival: «Le maggiori influenze musicali le collocherei negli Human League, nei Pet Shop Boys, negli Chic, in Giorgio Moroder…», continua.
Un disco che Marius ha messo a punto tra le mura del suo home studio a Colonia, città dove vive dopo avere lasciato Viersen, nei pressi di Düsseldorf. «Ho iniziato a lavorare all’album nell’estate 2014, con un approccio differente rispetto a prima - aggiunge, concludendo - L’intento era quello di elaborare qualcosa di più organico, in pratica con meno loop e sample… Alla fine ho mantenuto quella rotta, senza virare... Spero avere fatto un buon lavoro...».
Info: iamroosevelt.com