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AvanTIUn biocomputer con cellule di cervello umano

20.03.23 - 09:44
Un recente articolo esamina la possibilità di realizzare i computer del futuro con hardware biologico, cioè con organoidi di cervello umano
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Un biocomputer con cellule di cervello umano
Un recente articolo esamina la possibilità di realizzare i computer del futuro con hardware biologico, cioè con organoidi di cervello umano

Un team di scienziati della Johns Hopkins University e di altri istituti di ricerca, in uno studio recentemente pubblicato sulla rivista Frontiers in Science, ha discusso la possibilità che una nuova generazione di computer possa essere realizzata con un hardware biologico, ovvero con neuroni umani in coltura chiamati organoidi cerebrali o brain-on-a-chip. Si tratta di un approccio “ibrido” all’informatica in cui l’intelligenza artificiale del futuro potrebbe essere basata su processori fatti di vere cellule cerebrali umane, i cosiddetti biocomputer.

 

Organoid intelligence

Questa fantascientifica visione è stata già ribattezzata Organoid intelligence (Intelligenza degli Organoidi, OI). “Abbiamo chiamato questo nuovo campo interdisciplinare ‘intelligenza degli organoidi’ e si è ormai raccolta una comunità di scienziati molto brillanti per sviluppare questa tecnologia, che riteniamo lancerà una nuova era di bioinformatica efficiente, veloce e potente”, ha affermato Thomas Hartung, professore di scienze della salute ambientale presso la Johns Hopkins Bloomberg School of Public Health e la Whiting School of Engineering.
Gli organoidi di cervello umano sono colture tridimensionali di cellule neurali ottenute in laboratorio a partire da cellule staminali pluripotenti indotte (capaci di differenziarsi in quasi tutti i tipi di cellule dell’organismo) che si usano per studiare lo sviluppo neurologico e per comprendere le cause di molte malattie. Non sono veri e propri cervelli in miniatura, ma condividono con il cervello aspetti importanti nella struttura, nell’organizzazione, nella funzione delle cellule e nella connettività tra neuroni. L’idea dei ricercatori è di poter un giorno trasformare questi agglomerati di cellule negli hardware di biocomputer con capacità di calcolo e ragionamento sempre più vicine a quelle del cervello umano.

 

Cervello vs computer

Secondo Hartung, i computer che funzionano su questo “hardware biologico” potrebbero, già nel prossimo decennio, arrivare a fare concorrenza ai supercomputer e persino batterli. In effetti, se i computer elaborano calcoli che coinvolgono numeri e dati più velocemente degli umani, il cervello è nettamente superiore nel prendere decisioni logiche complesse, e apprende con molto meno sforzo. Per esempio, AlphaGo, l’intelligenza artificiale di Google che ha sconfitto il campione mondiale di Go nel 2016, si è allenata studiando circa 160mila partite. Un essere umano dovrebbe giocare cinque ore al giorno per oltre 175 anni per arrivare allo stesso numero. E il cervello umano è anche molto più efficiente di un computer: l’energia necessaria ad addestrare AlphaGo è stata superiore a quella necessaria ad “alimentare” un essere umano adulto per dieci anni.
Inoltre, anche in termini di capienza non ci sono paragoni. “I cervelli hanno una capienza incredibile, dell’ordine dei 2.500 terabyte. Stiamo raggiungendo i limiti fisici del silicio, dal momento che non possiamo inserire più transistor di così sui chip. Il cervello, invece, è ‘cablato’ in modo completamente diverso: ha circa 100 miliardi di neuroni, collegati su un numero enorme di punti di connessione. È una differenza di potenza enorme, comparata alla tecnologia attuale”, ha spiegato Hartung.

 

Questione di tempo

Naturalmente, potrebbero volerci decenni prima di arrivare a una potenza di calcolo e a un’efficienza comparabile a quella di qualunque altro tipo di computer o prima di raggiungere un’intelligenza paragonabile a quella del cervello di un topo. Ma aumentando la produzione di organoidi e istruendoli con l’intelligenza artificiale, in futuro i biocomputer potrebbero offrire indubbi vantaggi in velocità, potenza di calcolo e capacità di archiviazione dei dati.
“Dobbiamo anzitutto riuscire a ingrandire gli organoidi cerebrali. Al momento sono troppo piccoli, ciascuno di loro contiene circa 50mila cellule. Dobbiamo riuscire ad arrivare almeno a 10 milioni di cellule”, ha dichiarato lo scienziato. Inoltre, bisogna ancora sviluppare anche tutte le tecnologie per comunicare e “agire” sugli organoidi, ovvero per inviare loro informazioni, memorizzarle e leggere quello che stanno elaborando.
“Lo scorso agosto abbiamo sviluppato un dispositivo di interfaccia cervello-computer che è una sorta di elettro-encefalogramma per organoidi: si tratta di una specie di ‘cappello’ flessibile coperto di piccoli elettrodi in grado di raccogliere i segnali dagli organoidi e di inviargliene degli altri”, ha continuato Hartung. Per riuscire ad arrivare a una tecnologia funzionante, comunque, la strada è ancora molto lunga. “Ci vorranno decenni prima di raggiungere l’obiettivo di qualcosa di paragonabile a un computer”, ha ammesso Hartung. “Ma se non iniziamo a creare programmi di finanziamento mirati, sarà molto più difficile”.

 

L’etica delle OI

Come per l’intelligenza artificiale, anche per l’intelligenza degli organoidi ci saranno questioni etiche da prendere in considerazione. Per esempio: una grumo di cellule umane in grado di imparare, ricordare e interagire con l’ambiente circostante potrebbe sviluppare una sorta di coscienza rudimentale? Potrebbe soffrire o provare dolore? Dovrebbe godere di diritti? Quale rapporto avrebbero i “donatori” delle cellule cerebrali con gli organoidi sviluppati?
“Una parte fondamentale della nostra visione sull’intelligenza degli organoidi è di svilupparle in modo socialmente ed eticamente responsabile. Per questa ragione stiamo lavorando con eticisti per definire un approccio di ‘etica incorporata’. Tutte le questioni etiche saranno valutate in modo continuo da gruppi di scienziati, etica e cittadini”, hanno scritto in proposito gli autori dello studio.

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