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TAIWANIl voto a Taiwan e l'escalation che nessuno vuole

12.01.24 - 06:30
Urne aperte domani sull'isola. Cina e Stati Uniti osservano. Il sinologo Francesco Sisci: «Ambedue vogliono tenere la situazione tranquilla»
AFP
Il voto a Taiwan e l'escalation che nessuno vuole
Urne aperte domani sull'isola. Cina e Stati Uniti osservano. Il sinologo Francesco Sisci: «Ambedue vogliono tenere la situazione tranquilla»

TAIPEI - Mezzo mondo al voto per determinare il futuro del mondo intero. Il 2024 sarà un anno elettorale come mai ce ne sono stati fino a oggi e chiamerà alle urne oltre due miliardi di persone da più di settanta Paesi. Si voterà negli Stati Uniti (a novembre), nell’Unione Europea (a giugno), nel Regno Unito (probabilmente nella seconda metà dell’anno) e in Russia (a marzo, con esito già scritto). Ma la prima scadenza a pretendere attenzioni è quella di domani, sabato 13 gennaio, a Taiwan. Sotto gli occhi, ben spalancati, di Pechino e di Washington, che osservano l'isola e si osservano a vicenda.

Se per Taiwan si tratta, tutto sommato, di una regolare routine democratica, il momento - incorniciato dal delicato equilibrismo geopolitico fra i due colossi del pianeta nelle acque del Pacifico - non può che avere un'eco che travalica i confini dell'isola. E questo anche perché, nel suo piccolo, la Repubblica di Cina è tante cose. È un tassello strategico di fondamentale importanza nella regione. È il primo produttore mondiale - e per grandissimo distacco - di semiconduttori (cifre alla mano, stiamo parlando, a livello globale, del 60% del totale e del 90% di quelli più avanzati); e la pandemia ci ha dato una lezione molto dura su cosa significhi una loro carenza per l'industria. È un simbolo di democrazia e libertà, che insiste su questo percorso nonostante la volontà di Pechino di riunificazione - «è inevitabile», ha dichiarato nel suo discorso di fine anno il presidente Xi Jinping - in ossequio al principio di "Una sola Cina".

Un'escalation che nessuno vuole
Tra le due "sponde" dello stretto di Formosa vige un delicato equilibrio. E il mantenimento dello status quo sembra essere la via preferita per entrambe le parti, con i vantaggi reciproci che ne derivano. E pure la data di scadenza, fissata da Xi Jinping in corrispondenza del centenario del 2049 per la riunificazione, sembra confermarlo. Come a voler dire: senza fretta. Ma il voto di sabato potrà incrinare questo equilibrio? C'è uno scenario che inquieta Pechino? «In teoria la Cina teme che venga eletto un candidato che proclami l'indipendenza de jure dell'isola, oggi indipendente di fatto, ma de jure parte di un'unica Cina. Ma credo che, al di là della retorica, per il momento l'eventualità sia molto remota», ci spiega Francesco Sisci, sinologo e professore all’Istituto di Studi Europei all’Università del Popolo della Cina.

E alla luce degli ultimi giorni, Sisci ridimensiona anche l'impatto che le elezioni potranno avere nell'influenzare i futuri rapporti tra Pechino e Washington. «Martedì sono ripresi i colloqui militari tra Stati Uniti e Cina dopo quattro anni di interruzione. Il fatto che siano ripresi proprio nella settimana delle elezioni dimostra che entrambi i paesi vogliono tenere la situazione sotto controllo e che nessuno cerca escalation su Taiwan». E anche i toni di Xi Jinping nel suo messaggio «mi sono parsi concilianti. Diversamente da altre volte in passato non ha accennato all'uso della forza per la riunificazione. Certo, ha detto che la riunificazione avverrà, ma questo è un vecchio auspicio di Pechino».

Esploriamo però brevemente, per il gusto dell'ipotesi, l'improbabile scenario di una risposta militare di Pechino. Perché in questa particolare ottica c'è una domanda che sono in molti a porsi (e sulla quale la stessa popolazione taiwanese si è mostrata spaccata): gli Stati Uniti che reazione potrebbero avere? Sarebbe ipotizzabile a quel punto un intervento di tipo militare? «Se la situazione per ipotesi dovesse degenerare - anche se oggi non vedo i termini - certo ci sarebbe un intervento degli Stati Uniti ma probabilmente anche del Giappone, per cui Taiwan ha una posizione geografica strategica», sottolinea Sisci. E «a quel punto sarebbe guerra totale. Non vedo però oggi le condizioni per un tuffo nell’abisso. Inoltre Partito comunista e KMT, che ha governato l’isola per decenni, sono fratelli germani, nati da uno stesso padre, Sun Yat-sen. Si sono fatti la guerra, la pace e poi ancora la guerra e la pace per cento anni. Si conoscono benissimo e sanno benissimo i margini di tensione da applicare e tollerabili. Difficile che si possa scivolare in uno scontro per un incidente. Più delicato è invece tutto il quadro che si va a ri-delineare intorno alla Cina. Per questo il prossimo vertice del QUAD in India può essere più delicato e importante».

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