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MONDOLe motivazioni di chi fa circolare bufale e teorie del complotto

04.12.20 - 06:00
Ci sono quattro categorie di propagatori, secondo la classificazione di un saggio del 2009 di Cass Sunstein.
Depositphotos (SIphotography)
Ci sono varie ragioni che spingono le persone a dare credito e diffondere notizie false e teorie del complotto.
Ci sono varie ragioni che spingono le persone a dare credito e diffondere notizie false e teorie del complotto.
Le motivazioni di chi fa circolare bufale e teorie del complotto
Ci sono quattro categorie di propagatori, secondo la classificazione di un saggio del 2009 di Cass Sunstein.
Alcuni sono mossi dall'interesse personale, altri sono spinti dalla malignità. Qualcuno, però, è in buona fede.

LUGANO - Negli ultimi mesi, complice la pandemia di coronavirus, si è assistito a un proliferare di voci, bufale, false dicerie e teorie del complotto sui più svariati argomenti. 

Per cercare di capire come nascono e, ancor di più, come si diffondono queste teorie che corrono velocissime sui social, siamo andati a ripescare un saggio del 2009, pubblicato dalla Princeton University Press e tradotto in italiano l'anno successivo. S'intitola "Voci, gossip e false dicerie. Come si diffondono, perché ci crediamo, come possiamo difenderci" e lo ha scritto Cass R. Sunstein, professore universitario e studioso di diritto statunitense, collaboratore di Barack Obama alla Casa Bianca e ora docente alla scuola di legge di Harvard.

«Le dicerie vengono spesso messe in circolazione da propagatori consapevoli, che possono credere o meno a ciò che diffondono» spiega Sunstein, che passa quindi a identificare quattro categorie d'individui, con determinate caratteristiche e motivazioni.

Coloro che sono spinti dal puro interesse personale - Per ottenere i propri obiettivi non si fanno scrupoli a danneggiare altri individui o gruppi di persone. «Vogliono fare soldi, vincere qualche tipo di competizione o comunque conquistare un vantaggio». Tra gli esempi fatti da Sunstein ce n'è uno decisamente attuale: «Spesso i sostenitori di un candidato insinuano che il rappresentante del partito avversario nasconde nel suo passato un segreto inconfessabile». Quello che si è visto con la teoria del complotto nota come QAnon, che ha messo nel mirino nomi illustri del Partito democratico e in particolare il Presidente eletto Joe Biden. Per dimostrare come ciò rientri nella categoria della ricerca dell'interesse personale, Sunstein aggiunge: «Quando i membri del Partito repubblicano diffondono delle voci su un politico designato dal presidente democratico (all'epoca Obama, ndr), sperano di colpire non solo la reputazione e il credito di cui gode il funzionario, ma anche quella del presidente e di tutto il Partito democratico, favorendo in questo modo gli interessi dei repubblicani».

Chi è mosso dall'interesse personale in senso generale - Ovvero chi «cerca di conquistare lettori o di attirare l'attenzione diffondendo delle dicerie». Non c'è un guadagno diretto nello screditare e infangare la reputazione di qualcuno, se non in termini di convenienza economica derivata dalla ricerca di click o di audience. «Per quanto grave, il danno si rivela collaterale» osserva Sunstein. Non tutti lo fanno per denaro: «Ci sono persone che pubblicano falsità su Internet con il solo scopo di attirare l'attenzione. Chi mette in circolazione pettegolezzi infondati rientra in questa categoria».

I propagatori altruistici - È la categoria più interessante tra quelle elencate nel saggio. Gli individui che ne fanno parte sono «impegnati a sostegno di una causa». Accusando qualcuno o mettendo alla berlina qualcosa - che i vaccini o le mascherine facciano male, che Biden faccia parte di una pericolosa rete di pedofili e così via - «stanno cercando di promuovere quello che nella loro mente è il bene pubblico» e sperano di contribuire, seppur giocando sporco «alla causa in cui credono». Sunstein comprende i propagatori altruistici, ma non li assolve: «Possono essere straordinariamente disinvolti nei confronti della verità, nel senso che a volte sono disposti a dichiarare consapevolmente il falso, e più spesso sono pronti a fare affermazioni della cui veridicità non sono certi». Lo stesso vale per chi, spesso in assoluta buona fede, condivide sui social contenuti che in realtà sono imprecisi o del tutto fasulli. Perché avviene? Perché su Internet (ma non solo) «prospera una specie di industria dell'indignazione», che produce voci false o ingannevoli «su persone che hanno un'opinione diversa da quella di chi esprime il suo sdegno». Chi è indignato, aggiunge Sunstein, cerca di "contagiare" chi gli sta intorno con quella che pensa essere la bontà delle ragioni che gli hanno suscitato questa emozione.

Chi ha motivazioni maligne - «Cercano di svelare e diffondere particolari imbarazzanti o lesivi non per interesse personale o per una causa, ma semplicemente per ferire». La volontà di danneggiare può nascere da risentimento o dall'essere convinti (a ragione o meno) di aver subito un torto. «Provano un piacere autentico e profondo nel danneggiare il prossimo» e, sottolinea Sunstein, «può non esserci uno stretto legame fra le loro affermazioni e la verità». L'autore avverte: non per forza il bersaglio può essere un nome famoso, ma anche una persona comune. In questo caso i propagatori maligni «costituiscono una seria minaccia» perché possono compromettere la carriera, la reputazione e le relazioni sociali di chi vogliono colpire. «Spesso queste voci sono resistenti, e anche se non lo sono possono sollevare interrogativi e dubbi che perseguitano per parecchio tempo i malcapitati».

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