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REGNO UNITOLa giornata dell'arresto di Assange

11.04.19 - 22:00
Un blitz all'interno di una sede diplomatica, autorizzato eppure rarissimo, mette fine dopo quasi sette anni alla "fuga" del fondatore di WikiLeaks
Keystone
La giornata dell'arresto di Assange
Un blitz all'interno di una sede diplomatica, autorizzato eppure rarissimo, mette fine dopo quasi sette anni alla "fuga" del fondatore di WikiLeaks

LONDRA - Un blitz all'interno di una sede diplomatica, autorizzato eppure rarissimo. Julian Assange, fondatore di WikiLeaks e nemico pubblico numero uno dei palazzi del potere Usa, è stato arrestato questa mattina dalla polizia britannica dopo quasi sette anni trascorsi come rifugiato presso l'ambasciata dell'Ecuador a Londra.

Un epilogo che per ora significa la detenzione del Regno Unito per un banale reato procedurale, ma su cui già pende la richiesta d'estradizione di Washington: che accusa Assange di "pirateria informatica" e in realtà lo vuole punire per la diffusione dal 2010 in avanti di una caterva di carte segrete imbarazzanti, a cominciare dai 700'000 documenti fatti filtrare a suo tempo dalla gola profonda Chelsea Manning su crimini di guerra imputati alle forze americane in Iraq.

La cattura, largamente preannunciata, è avvenuta sotto gli occhi del mondo, ripresa da una telecamera dell'agenzia russa Ruptly. Il 47enne attivista e giornalista australiano si è visto revocare lo status di rifugiato e di cittadino ecuadoriano dal governo del presidente Lenin Moreno. Premessa per metterlo nelle mani della giustizia britannica. A portarlo fuori vi era un drappello di agenti in divisa e in borghese, muniti di un lasciapassare firmato dall'ambasciatore Jaime Marchan.

L'irruzione nella palazzina diplomatica è durata pochi minuti. Assange è stato portato via ammanettato. Disorientato, al contatto con la luce del sole dopo circa 2500 giorni di auto-reclusione forzata, ha gridato j'accuse («il Regno Unito non ha civiltà») prima di essere spinto in un furgoncino. Più tardi è apparso con un sorriso di sfida dinanzi alla Westminster Magistrates' Court, dove è stato riconosciuto colpevole ipso facto d'aver violato nel 2012 i termini della cauzione: quando aveva deciso di rifugiarsi nell'ambasciata (sotto la protezione dell'allora presidente dell'Ecuador, Rafael Correa) e di non comparire di fronte a un giudice britannico che lo aveva convocato per conto della magistratura svedese nell'ambito di una controversa inchiesta per presunto stupro e molestie avviata contro di lui a Stoccolma e nel frattempo archiviata.

Ma la vera spada di Damocle resta quella dell'estradizione invocata dagli Usa, resa pubblica in contemporanea con l'arresto. Il cavillo scovato oltreoceano, sotto il mantello dell'amministrazione di Donald Trump, è l'imputazione per pirateria informatica in complicità con Chelsea Manning, in modo da evitare d'additare formalmente come spionaggio la pubblicazione giornalistica di documenti scomodi: condivisa peraltro in anni passati con testate quali il Guardian o il New York Times. Ma non cambia granché. Per WikiLeaks - che denuncia l'affare come «una violazione del diritto internazionale» - si tratta solo di un artificio per portare a termine la vendetta.

Tanto più poiché il reato ufficiale - che prevede al massimo 5 anni di carcere, ben al di sotto della soglia di rischio della pena di morte di fronte alla quale scatterebbe la sola garanzia d'una non estradizione - potrà poi essere appesantito su misura con altre ipotetiche contestazioni. Già evocate dalla Cnn.

Il governo della premier britannica Theresa May da parte sua difende le ragioni dell'arresto: «Nessuno è al di sopra della legge». Ma le proteste di Reporters Sans Frontieres sono forti, come quelle di attivisti dei diritti umani che parlano di Assange come di «un eroe», di consulenti dell'Organizzazione delle Nazioni Unite (Onu), del whistleblower Edward Snowden o dell'attrice-attivista Pamela Anderson. Mentre la Russia di Vladimir Putin coglie la palla al balzo per ritorcere contro le democrazie occidentali l'accusa di "strozzare la libertà di stampa" che tanto spesso viene lanciata nei suoi confronti.

Per Lenin Moreno, finito sotto la lente di WikiLeaks in prima persona in uno scandalo di presunta corruzione, «le interferenze» dell'indocile ospite erano divenute del resto ormai insopportabili. E poco importa che il suo predecessore Rafael Correa, dall'esilio, lo chiami ora «traditore».

I nove motivi per revocare asilo (e cittadinanza) - Il ministro degli Esteri dell'Ecuador, José Valencia, ha illustrato di fronte alla sessione plenaria dell'Assemblea nazionale (Parlamento) del Paese i 9 motivi per cui il governo del presidente Lenin Moreno ha deciso di revocare l'asilo e la nazionalità ecuadoriana all'attivista australiano Julian Assange. Come riportato dai media ecuadoriani, l'intervento negli affari interni da parte di altri Stati, il cattivo comportamento e la mancanza di rispetto nei confronti dell'Ecuador, le minacce di Assange contro lo Stato ecuadoriano e l'ambasciata, la posizione inalterabile del Regno Unito di non garantire un salvacondotto all'attivista e lo stato di salute di Assange come motivo di preoccupazione sarebbero i primi cinque motivi che hanno portato alla scelta di revocare l'asilo e la nazionalità ad Assange. Le restanti ragioni sono che, secondo Quito, l'asilo non è uno strumento per impedire un processo giudiziario, che al momento della revoca non c'era una richiesta di estradizione, che l'Ecuador ha ricevuto sufficienti garanzie dal Regno Unito per la protezione di Assange e, infine, che ci sarebbero state irregolarità nelle procedure per la concessione della cittadinanza ecuadoriana all'attivista.

Assente il gatto James - Il gatto James, che ha fatto a lungo compagnia a Julian Assange nei suoi anni di confino nell'ambasciata dell'Ecuador a Londra, non era stamani nelle stanze della rappresentanza diplomatica ecuadoriano all'arrivo degli agenti che hanno arrestato il fondatore di WikiLeaks. I media britannici, rilanciati dal quotidiano El Universo di Guayaquil, hanno indicato che il felino, visto spesso lo scorso anno alla finestra della stanza di Assange talvolta con vistosi cravattini al collo, è stato portato via da amici del ricercatore nel settembre scorso. La presenza di James era stata uno dei punti di frizione con il personale diplomatico ecuadoriano che aveva chiesto all'ospite in esilio di occuparsi meglio dell'alimentazione e della pulizia della sua mascotte se non voleva che fosse portata via.

 

 

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COMMENTI
 

volavola 5 anni fa su tio
Forse qualcuno lo farà sparire; il metodo Arabia Saudita insegna...

seo56 5 anni fa su tio
Chi troppo vuole nulla stringe...

sedelin 5 anni fa su tio
una giornata maledetta, in cui maledico il burattino ecuadoregno di trump e tutti i fantocci bugiardi, ladri, oppressori della libertà di stampa. vergogna e schifo!

patrick28 5 anni fa su tio
Assange, una spia russa !
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