Il Consiglio di Stato ticinese invita a respingere l'abolizione del canone radio-televisivo: «Gli effetti sarebbero nefasti per regioni periferiche e le minoranze linguistiche»
BELLINZONA - Il Consiglio di Stato ha presentato oggi – nel corso di una conferenza stampa a Bellinzona – la propria posizione sull’iniziativa popolare per l’abolizione del canone radio-televisivo. Il Governo ticinese invita le cittadine e i cittadini a respingere una proposta «che penalizzerebbe fortemente le regioni periferiche e le minoranze linguistiche come il Canton Ticino, segnando il passaggio definitivo da una logica di servizio pubblico a una commerciale».
Il Governo - per bocca dei consiglieri di Stato Manuele Bertoli e Christian Vitta - ha anzitutto ricordato che il principio di un canone radio-televisivo risponde fedelmente alle indicazioni della Costituzione, che con il concetto di servizio pubblico descrive un contributo all’istruzione, allo sviluppo culturale e alla libera formazione delle opinioni. Il canone, secondo l’attuale impostazione, garantisce inoltre che le minoranze linguistiche e culturali, come quella svizzero-italiana, siano equamente rappresentate nell’offerta radio-televisiva nazionale.
A questo proposito, il Governo ha invitato a non dimenticare che il sistema in vigore «assegna alla RSI ben il 22% delle risorse, a fronte di appena il 4% della popolazione della Svizzera italiana». Per quanto riguarda la sola RSI, questo impegno si traduce in oltre un migliaio di collaboratori a tempo pieno e in un valore aggiunto di circa 213 milioni di franchi all’anno per l’economia della Svizzera italiana. Circa 40 milioni sono destinati all’acquisto di beni e servizi da 850 fornitori locali.
Il Governo ha infine riaffermato la propria preoccupazione in vista di uno dei possibili esiti della consultazione del 4 marzo 2018: se l’iniziativa fosse respinta a livello federale ma accolta nel nostro Cantone, è concreto il rischio che a medio termine possano verificarsi decisioni aziendali negative per la RSI e per le emittenti private del Cantone. «Un segnale di disaffezione da parte della cittadinanza ticinese potrebbe infatti portare al ridimensionamento di realtà di primo piano per l’economia e le attività culturali nel Cantone».