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Una banca della memoria: per non dimenticare

Nasce la banca della memoria lombarda. Obiettivo: ricordare le vittime del Covid-19 e questo terribile momento storico
Nasce la banca della memoria lombarda. Obiettivo: ricordare le vittime del Covid-19 e questo terribile momento storico

Voglia di ritorno alla vita, di incontri, di viaggi… complice l’estate che si avvicina desiderano leggerezza gli italiani, che dal 3 giugno sono tornati a circolare al di fuori dei proprio confini regionali. Ma la luce di spensieratezza che ha iniziato a rischiarare le vite di tanti, soprattutto nel Norditalia, si accompagna all’ombra perenne di chi non c’è più e che non può, non deve, essere dimenticato. E’ quindi per dovere di memoria, per responsabilità morale nei confronti dei propri cari deceduti, per le generazioni future, che è nata la “#bancadellamemorialombarda: un cancelletto per non cancellare”. Un archivio digitale con lo scopo di raccogliere e conservare quante più testimonianze possibili sui tre mesi che hanno sconvolto la Lombardia: dalle persone morte da sole, intubate senza poter dire addio ai propri cari, ad altre chiuse in casa per settimane in attesa di un tampone mai fatto, passando per i familiari che si sono contagiati tra di loro perché non è stato diagnosticato il Covid-19, agli anziani morti in Rsa o a casa. Senza dimenticare gli operatori sanitari: medici, infermieri, Oss, mandati allo sbaraglio, ammalatisi e in molti casi morti.

Keystone


Capitolo 1

Per non dimenticare


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L’omonimo gruppo Facebook invita ogni persona ad inviare la propria testimonianza per la costruzione di una memoria collettiva, perché la storia insegna che “se non si coltiva la memoria, su certe vicende finisce per scendere l’oblio – scrivono i promotori dell’iniziativa - le ragioni sono tante: quelle dei responsabili, per coprire errori e responsabilità. Quelle delle vittime, perché non ci sono più. Quelle dei sopravvissuti, perché non hanno voglia di parlarne. Quelle degli altri, perché non hanno voglia di ascoltare”. Il tempo, la stanchezza, l’oblio e l’indifferenza non devono cancellare la traccia di quanto è accaduto, ma il ricordo va spogliato dal rancore e dalle recriminazioni, almeno per chi intende far parte della #bancadellamemorialombarda.

In cerca di responsabilità - Chi invece documenta la propria testimonianza con altre finalità (politiche, legali, sociali) può fare riferimento ad altri progetti, quali, per citarne uno molto seguito in Lombardia, “Noi Denunceremo. Verità e giustizia per le vittime di Covid-19”. Si tratta di un comitato che vuole individuare i responsabili per “un bisogno di giustizia e di verità, per dare pace ai nostri morti che non hanno potuto avere una degna sepoltura. Chi ha sbagliato dovrà rispondere alle nostre domande e assumersi le proprie responsabilità”, spiegano sul loro sito i fondatori, ovvero il bergamasco Luca Fusco e il figlio, che non si sono rassegnati alla morte per Covid-19 del padre di Luca: “una persona di 85 anni, sana per la sua età, che è entrata con le sue gambe in una clinica privata per fare della riabilitazione e ne è uscita in una cassa di legno. Una persona che, come tante, è morta da sola, lontano dalla famiglia che amava e che ha costruito. Una persona che non ha potuto avere neanche un funerale. Una persona che sarebbe ancora qui se non fosse stato per questa brutta storia”. L’adesione al comitato è stata subito massiccia e oggi gli organizzatori dichiarano di essere oltre 50mila, tutti decisi a “far sì che, se qualcuno ha delle responsabilità, se qualcuno poteva agire e non l’ha fatto, se qualcuno ha anteposto chissà quale interesse alla vita di migliaia di persone, egli (o essi) paghi penalmente per le sue azioni e risponda delle sue negligenze”. Per questo hanno pensato di raccogliere le storie sul sito, suddividendole in tre ambiti: ciò che è accaduto negli ospedali, le morti nelle Rsa e la mancanza di accertamenti tra i malati a casa e i loro familiari (sezione dall’emblematico titolo: nessun tampone). “#bancadellamemorialombarda” e “Noi Denunceremo” sono due iniziative collettive ma il ricordare è un’azione che coinvolge anche singole persone che, senza per ora aderire a nessun progetto, sono contente di raccontare la vicenda che le ha coinvolte.


Capitolo 2

 Dietro ai volti, tante storie


Emi Baronchelli, al centro, con i genitori Cesare e Liliana

Cesare che voleva andare a fare la spesa - Come Emi Baronchelli, insegnate in un liceo bresciano, alla quale il Covid-19 ha strappato il padre e ha minato la salute psico-fisica della madre. “Raccontare è terapeutico, mi aiuta ad elaborare il lutto – ammette - l’ho evitato finché mia madre era ammalata a sua volta di Covid-19, come lo è stato mio padre che non ce l’ha fatta: lui, Cesare, un uomo di 85 anni in piena salute e che viveva a casa sua con mia madre. Non so come ha fatto a prendere il Covid-19, temo al supermercato quando ha voluto andarci a tutti i costi un giorno di inizio marzo, nonostante i miei scongiuri a non farlo, anzi, gli ho anche detto di non fare lo stupido ed era la prima volta che dicevo questo a mio padre”. Pochi giorni dopo a Cesare arriva la febbre, che sale e lo inebetisce al punto che, prosegue la figlia, “un giorno ha avuto un mancamento in bagno, è caduto e si è ferito alla testa quindi un’ambulanza lo ha portato in una clinica dove ha fatto il tampone perché erano i giorni in cui chi veniva ricoverato doveva essere sottoposto a questo esame. E’ risultato positivo e da lì non l’ho più incontrato”. Le comunicazioni avvenivano grazie alle telefonate: “sentivo che lui faceva sforzi immensi per parlare con me tramite la maschera ad ossigeno – ricostruisce Emi - e le sue parole confuse mi sembravano un grido d’aiuto. La mattina dell’ultimo giorno della sua vita un’infermiera, figlia di un collega, mi ha messa in contatto con lui tramite video chiamata e così ci siamo visti per l’ultima volta: le sue parole estreme sono state: ‘saluta la mamma’. La sera mi hanno chiamata per comunicarmi che non c’era più”. Il giorno successivo Emi viene a sapere, dal collega padre dell’infermiera, che la donna è incinta: “Per me è stato come un passaggio di vita tra noi, tra mio padre e la creatura che la donna ha in grembo”.

Cesare Baronchielli e sua moglie

La mamma che non ricorda più nulla - Un piccolo sollievo in una situazione di calvario non terminato: “dopo 4 o 5 giorni anche la mamma manifesta i sintomi del Covid-19. Viene assistita da casa dal suo medico di famiglia Flavio Trapelli, che è stato eccezionale, sempre presente; la mamma 82 anni (fragile, cardiopatica, assolutamente dipendente dal papà) ne è venuta fuori, ma quei giorni sono stati  uno strazio immenso – valuta la figlia: – non potevo assisterla, aiutarla; spesso non riusciva a rispondere al telefono, trascorreva le giornate e temo le notti sul divano perché non aveva nemmeno la forza di alzarsi. Incredibilmente ne è venuta fuori da sola”. Solo allora ha saputo del marito e “ha reagito con un urlo dicendomi: ‘lo sapevo, me lo sentivo, adesso insegnami perché lui faceva tutto e io non so nemmeno buttare via lo sporco’. Da quel momento ha cominciato a ricostruire. Più tardi purtroppo ha avuto altri problemi di salute ed è stata ricoverata in ospedale ma per cause del tutto indipendenti dal Covid. In tutto il periodo non è stato fatto alcun tampone né a lei né a me, eppure entrambe siamo venute in contatto con il papà che è morto di Corona virus e alla mamma è stato eseguito solo una volta ricoverata per le altre patologie. Lei ha rimosso il periodo della malattia: quando ha finalmente iniziato a stare bene mi ha detto di non prenderla per pazza perché lei non si ricorda nulla di quei 15 giorni, a volte nega perfino di esser stata male”. E adesso alle due donne resta il ricordo e il sostegno reciproco: “la vita deve andare avanti, lei ha una forza immensa, mi dice che adesso va avanti da sola, che io devo fare la mia vita di sempre anche se per me questo è impossibile, nulla sarà più come prima. Ma non voglio fare alcuna polemica e riconosco che i medici sono stati molto bravi: quando la mamma era malata il suo curante mi chiamava ogni sera per chiedermi come stava e darmi consigli. Non mi sono sentita abbandonata”.

 

Enrica con suo padre Ernesto Rizzini

Ernesto che vedeva il sorriso della figlia da sotto la mascherina - Lo stesso atteggiamento di gratitudine verso chi si è preso cura del padre è quello di Enrica Rizzini, a su volta docente in un istituto superiore di Brescia, figlia unica e già orfana di madre, che in pochi giorni ha detto addio al padre, Ernesto, 85 anni, ricoverato in una Rsa cittadina dai primi di ottobre 2019 e morto il 1 aprile, dopo pochi giorni di malattia. “Faccio ancora fatica a ricostruire con lucidità quel periodo micidiale – ammette – ma ricordare mi fa piacere: lo faccio anche per lui, per ribadire che Ernesto è stato, è passato in questo mondo ed è giusto che se ne mantenga la memoria”. Enrica, a differenza di Emi, ha salutato di persona per l’ultima volta il padre: “gli operatori, che hanno sempre fatto il possibile per mantenere i contatti tra gli ospiti e le famiglie, mi hanno permesso di andare alla Rsa, con tutte le precauzioni del caso, e vedere papà, guardarlo negli occhi, sorridergli da sotto la mascherina...  è stato davvero importante”.

Maria Cristina, una novantenne in attesa del compleanno - Riconoscenza verso il personale anche da parte dell’avvocata Ippolita Sforza e del fratello, che hanno la madre, Maria Cristina Supino, ospitata da giugno 2018 nella stessa Rsa di Ernesto Rizzini ma, a differenza di questi, senza aver contratto il Covid-19. “Mia madre è stata sempre una donna molto forte e in questa situazione lo ha confermato – spiega la figlia – del resto lei è una donna che a 23 anni andò in Inghilterra, in mezzo ad un gruppo di soli uomini, per seguire un corso universitario; lei è stata la prima donna avvocata di Brescia e oggi coraggiosamente combatte Parkinson, vecchiaia e isolamento forzato riuscendo ad essere sempre la mamma che si preoccupa quotidianamente di sapere come stiamo ed incoraggiando tutti, noi figli e i nipoti, nei nostri momenti di defaillance”. Certo, l’isolamento pesa molto, sia a chi è fuori sia a chi è dentro la casa di riposo. Eppure questa famiglia ce l’ha fatta e continua a portare avanti forme di relazione a distanza con soddisfazione, in fiduciosa attesa di quando finalmente potranno tutti tornare ad abbracciarsi e a festeggiare. A proposito di festeggiare, il 21 aprile, ancora in fase di cosiddetto lockdown, Maria Cristina ha compiuto i 90 anni, un traguardo al quale la famiglia stava pensando da tempo per organizzare una festa grandiosa. Il Corona virus ha fatto cambiare i piani, per ora, ma non rinunciare alla celebrazione: figli, nipoti e persone care hanno inviato gli auguri alla festeggiata tramite un video di 20 minuti, con canzoni, parole, sorrisi ed emozioni.

Giovanna Bazzani

Giovanna, donna di ferro che ha sconfitto covid, ictus e un tumore - Una donna di ferro anche Giovanna Bazzani, 86 anni, ricoverata in una Rsa della provincia di Brescia da 3 anni e che ha contratto il Covid-19, vincendolo. Il figlio Massimo Zito, gelataio che già ci aveva raccontato il terribile momento in cui gli è stata comunicata la notizia della positività del tampone della madre, da pochi giorni ha nuovamente potuto andare a trovare la donna, mantenendo le distanze e con misure di cautela molto rigide. “Ma almeno l’ho vista, una gioia – si commuove al racconto – certo, quando mi ha chiesto di andarle vicino e abbracciarla ho dovuto dirle di no e ingoiare le lacrime, ma sono fiero di lei. Merita la prima pagina perché tutti devono sapere del suo coraggio: è sopravvissuta ad un tentativo di femminicidio, ha sconfitto un tumore, ha resistito e si è ristabilita dopo un ictus ed ora oggi festeggiamo la notizia che ha vinto, dopo due mesi, la battaglia contro il Corona virus....tutti devono sapere quanto sono orgoglioso di lei”.

Liliana Taini, quando stava ancora bene

La strana storia di Liliana - Di tutt’altro segno la storia di Daniele Marini e della sorella Marina, protagonisti, loro malgrado, di una vicenda incredibile e che puntano il dito contro la gestione politica dell’emergenza in Lombardia: Liliana Taini la loro madre di 90 anni, si è dapprima infortunata al femore e subito dopo ammalata di Covid19 mentre era ricoverata, ma non si può accertare dove sia stata contagiata poiché in 100 giorni, è stata trasferita ben 7 volte tra 3 strutture sanitarie.

“Nostra madre viene ricoverata in uno degli ospedali del privato convenzionato il 15 febbraio, operata il 17 nel reparto di ortopedia e il 20 trasferita in quello di riabilitazione - ricostruisce il figlio - il 2 marzo è trasferita in una Rsa nell’hinterland bresciano per completare la riabilitazione e qui si manifestano i sintomi del Covid- 19 che però non le viene diagnosticato ufficialmente perché in quel periodo i tamponi nelle Rsa non venivano eseguiti e solo il 27 aprile, ben due mesi dopo i sintomi e solo su nostra incessante richiesta, le viene fatto il tampone. Ma in attesa dell’esito le sue condizioni si aggravano e dopo lunghe insistenze, il 29 aprile la facciamo riportare in ospedale”. Qualche giorno dopo il tampone stabilisce (ed è la prima volta) che la signora ha il Corona virus, quindi è curata in ospedale fino al 5 maggio, poi portata in una nuova struttura in provincia di Brescia per proseguire l’isolamento. «Il 18 e 19 maggio sono eseguiti i due tamponi che, dopo qualche giorno, danno entrambi esito negativo. I medici ritengono discrete le condizione di nostra madre, ma noi non concordiamo, quindi cerchiamo strutture ospedaliere dove avrebbe potuto almeno portare a termine la riabilitazione che non aveva pressoché iniziato, ma invano e il 25 maggio viene dimessa – prosegue Marini – è stato un triste e breve ritorno a casa: mamma deperita, sottopeso, con lo sguardo fisso, immobile nel letto, piena di dolori. Ma dopo nemmeno 24 ore sta di nuovo male quindi, alle 19 del 26 maggio, la facciamo ricoverare ancora in ospedale dove le fanno un tampone che risulta positivo”. L’episodio più astruso succede il 28 maggio, come riferisce il figlio: «l’Ats di Brescia ci ha telefonato per chiedere come mai mia madre, sottoposta a tampone il 27 aprile risultato poi positivo, da quella data non sia più stata sottoposta ad altri tamponi. Da noi informati che questo non è corretto, ci han fatto presente che nella loro banca dati non risultano effettuati i due tamponi del 18 e del 19 maggio, quelli che, dopo qualche giorno, avevano dato esiti negativi. Come è potuto accadere? Non so se avremo mai riposta, ma so che questa orribile e dolorosa vicenda, forse comune ad altri nella nostra Regione, ci rende sgomenti, anche per le negligenze e la poca cura di un percorso medico che ci ha restituito una donna che oltre a non alimentarsi, è gravemente decaduta sotto il profilo cognitivo, non riesce più a tenere il capo diritto né a guardare a destra e l’arto operato è storto, come il piede destro. Anche se ha 90 anni e il Covid ha certamente contribuito in maniera sostanziosa al suo peggioramento psico-fisico, non accettiamo che proprio una donna di questa età, lontana per mesi dai propri affetti, sia stata sottoposta a tanti trasferimenti e che, soprattutto, sia stata dimessa in condizioni generali pessime e palesemente non guarita dal virus e ancora sintomatica”.

 

 

 


Appendice 1

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Emi Baronchelli, al centro, con i genitori Cesare e Liliana

Cesare Baronchielli e sua moglie

Enrica con suo padre Ernesto Rizzini

Giovanna Bazzani

Liliana Taini, quando stava ancora bene

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