Hanno troppo pochi soldi fin per vivere, a causa del diffondersi di forme di lavoro precario che, paradosso, renderebbero indispensabile mettere da parte risparmi
MANNO - Non c'è da stupirsi a sentire che i ragazzi già presenti e attivi sul mercato del lavoro, 18-24 anni, sono quelli che meno pensano al loro futuro più lontano. Perché è ancora "troppo" lontano, appunto; inconsistente, nelle aspettative e nel pensiero. Così, neanche uno su 5 investe nel terzo pilastro e sulla sua vecchiaia, a fronte di tre su cinque media generale.
Sempre più "atipici", rispetto a chi li ha preceduti - C'è da preoccuparsi, però: perché sono loro che più si trovano alle prese con le forme atipiche e precarie d'occupazione che si fanno largo in Svizzera e in Ticino, privi dunque di quel secondo pilastro che fino a qualche anno fa garantiva una pensione ai dipendenti. Gli esperti sembrano concordi: la colpa non è, o non tutta, di entrate troppo scarse e impossibilità di mettere qualcosa da parte. «Manca una visione a lungo termine», osserva Samuele Vorpe, responsabile del Centro competenze tributarie Supsi.
Tra 20/30 anni la resa dei conti - Il rischio, però, è che «rimangano senza copertura. Così come stanno oggi le cose, tra venti o trent'anni le assicurazioni sociali non riusciranno più a erogare le rendite: è urgente una riforma». Come riuscire a garantire prestazioni medesime, o analoghe, a quelle attuali?
Per fortuna l'Iva è ancora bassa - «La misura più probabile è quella di un aumento dell'Iva, che è fra le più basse al confronto con il resto dell'Europa e dunque lascia più margine a manovre utili a finanziare la previdenza, che oggi è basata su un sistema troppo vecchio, non più attuale. L'Iva è un'imposta indiretta, che non segue il principio della capacità contributiva, dunque potrebbe essere l'ideale. In alternativa, si potrebbe ragionare sulle imposte indirette. Sono tutte ipotesi degne di essere esaminate. L'importante poi è trovare il consenso».
Lavoreranno dopo la pensione - Berna starebbe intanto pensando all'introduzione di ulteriori incentivi al lavoro dopo l'età pensionabile, che «potrebbe inoltre essere alzata o resa più flessibile», continua Vorpe. Atteso per questo febbraio l'annuncio di proposte concrete da parte del Consiglio federale. «È un problema nazionale e va affrontato in tempi che non siano biblici. I rischi sono alti, i salariati sono sempre meno, il sistema potrebbe non reggere a lungo».
Ticinesi "peggio" degli svizzero-tedeschi - In Ticino la situazione è anche più grave, dice il buon senso e confermano i numeri: versano nel terzo pilastro, per esempio, solo due su cinque. «Gli stipendi sono notoriamente più bassi rispetto a quelli in Svizzera tedesca - osserva Vorpe - e i redditi sono un fattore preponderante per spiegare lo scarso ricorso al terzo pilastro. Non bastassero, le spese sono incrementate. I premi della cassa malati sono sotto gli occhi di tutti. La gente è costretta a ridurre le uscite e probabilmente una delle prime a essere considerata superflua, e alla quale si rinuncia di conseguenza, è il terzo pilastro».
Nei guai "per definizione" - Così, tira le somme Jenny Assi, docente-ricercatrice alla Supsi, si arriva al paradosso per cui «le persone che avrebbero più necessità di avere il terzo pilastro sono quelle che non ce l'hanno per definizione. A preoccuparmi sono però ancora di più coloro che non hanno neppure il secondo: secondo i miei studi, nel 2012 erano ben il 22% della popolazione».
La prima colpa: la disinformazione - La questione economica, riflette però, «è fondamentale ma non spiega tutto. Le ragioni finanziarie riguardano solo il 46%. C'è anche mancanza di fiducia nel sistema, oppure scarsa conoscenza, o ancora il bisogno di immaginarsi altrove che in Svizzera a godersi la pensione». Fatto sta che, «se continua così, arriveremo ad avere solo un grande primo pilastro, nel senso che anche il secondo, che fa sempre più fatica a coprire il rischio vecchiaia, si trasformerà in un sistema a ripartizione».
La seconda: pensare solo a spendere, anche quel poco - Quale via d'uscita, oltre a quella che potrà indicarci la politica? «Serve più coraggio: il coraggio di ripensare le responsabilità individuali - conclude Assi - Non possiamo più permetterci di dare per scontato che la nostra vecchiaia è garantita. Viviamo in una società consumistica che non favorisce il risparmio: dobbiamo prenderne atto e cominciare a consumare di meno, a risparmiare di più. Almeno chi può».