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CANTONELa parola alla difesa: «Davvero la vittima non sapeva la verità?»

22.09.21 - 10:26
Il processo per il delitto di Muralto del 9 aprile 2019 si è oggi riaperto con l’arringa difensiva
Ti Press
L'avvocato della difesa Yasar Ravi
L'avvocato della difesa Yasar Ravi
La parola alla difesa: «Davvero la vittima non sapeva la verità?»
Il processo per il delitto di Muralto del 9 aprile 2019 si è oggi riaperto con l’arringa difensiva

LUGANO - «Certo, l’imputato non è uno “stinco di santo”, ma questo non significa che sia una persona capace di uccidere». Nel processo per il delitto di Muralto del 9 aprile 2019 la parola è passata ai difensori, gli avvocati Luisa Polli e Yasar Ravi.

Per la difesa non regge la tesi dell’accusa - rappresentata dalla procuratrice Petra Canonica Alexakis - secondo cui il litigio avvenuto quel 9 aprile del 2019 poi sfociato nella morte della compagna di 22 anni avrebbe avuto origine da una questione di soldi. «Da oltre due mesi stavano insieme ventiquattro ore su ventiquattro», pertanto non è verosimile che la giovane donna non fosse a conoscenza della reale situazione finanziaria dell’imputato.

Gli amici della vittima parlano infatti di un uomo ricco, con proprietà immobiliari in Svizzera e titolare di un’azienda. Un’immagine di sé che l’imputato avrebbe fornito alla giovane, nascondendo la realtà dei fatti, ossia che era al verde.

Eppure, lo ha ribadito l’avvocato Polli, in quei due mesi la vittima ha dato fondo ai suoi risparmi, pagando a più riprese anche per il compagno. E ha anche chiesto al padre di versarle altre trentamila sterline. «Perché lo avrebbe fatto, se avrebbe semplicemente potuto fare affidamento su un compagno benestante?» si è dunque chiesta la difesa.

E il 32enne non avrebbe avuto motivo di rubare e nascondere la carta bancaria della 22enne, quando - conoscendo il codice PIN - avrebbe semplicemente potuto sottrarla e disporre a suo piacimento degli averi, secondo l’avvocato. «La donna rendeva più da viva che da morta» ha aggiunto. L’eventuale utilizzo della tessera dopo la morte della vittima, «quello sì che sarebbe stato sospetto».

Il gioco erotico - L’avvocato Polli ha parlato anche della pratica dell’asfissia erotica, che - secondo la versione dell’imputato - avrebbe causato la morte della compagna. Una versione non credibile, secondo l’accusa, in quanto i due «non erano tipi da giochi erotici». L’avvocato Polli ha invece riferito di testimonianze, secondo cui sarebbe vero il contrario. Tuttavia, «agli atti non si trova una prova inconfutabile secondo cui i due erano atti a praticare l’asfissia erotica, ma non ci sono nemmeno elementi che provino il contrario».

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