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CANTONECondannato a tre anni per gli abusi “benedetti”

18.12.19 - 16:39
Frate dichiarato colpevole di coazione sessuale e atti sessuali con persone incapaci di discernimento o inette a resistere. Pena parzialmente sospesa
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Condannato a tre anni per gli abusi “benedetti”
Frate dichiarato colpevole di coazione sessuale e atti sessuali con persone incapaci di discernimento o inette a resistere. Pena parzialmente sospesa

LUGANO - «Non voleva alleviare nessuna sofferenza della donna, ma tentava di appagare a piccoli passi il proprio desiderio sessuale». E questo tentando «goffamente» di far credere che si trattasse di una “benedizione”. È quindi stato condannato a una pena detentiva di tre anni (di cui dodici mesi da espiare) e sette anni di espulsione, il frate a processo per aver abusato di una donna disabile. Lo ha stabilito la Corte delle Assise criminali, presieduta dal giudice Amos Pagnamenta, dichiarandolo colpevole di coazione sessuale e atti sessuali con persone incapaci di discernimento o inette a resistere. «Non solo non l’ha aiutata, ma l’ha usata».

L’imputato, un 44enne di origine asiatica, aveva negato di aver penetrato la vittima con un dito. Ma il gesto è stato confermato dalla Corte: «E lo ha potuto compiere solo perché ha colto la donna di sorpresa, inducendola a chiedere al frate di smetterla».

Vittima credibile - «La vittima ha fornito un racconto lineare e coerente, non aveva nessun motivo di mentire» ha spiegato il giudice. A differenza dell’imputato, che «ha mentito nel corso dell’intero procedimento», con lo scopo di alleggerire la sua posizione. Nel corso dell’inchiesta il frate ha comunque «sostanzialmente ammesso i fatti».

Gli interventi delle parti - La procuratrice pubblica Valentina Tuoni aveva parlato di «fatti gravissimi», proponendo una pena detentiva di tre anni e sei mesi, oltre all’espulsione dal paese: «Ha agito nella sua funzione di frate nei confronti di una fedele, sfruttando un rapporto di fiducia privilegiato». Il difensore Stefano Pizzola si era invece battuto per il proscioglimento da tutti i reati, facendo leva sulla devozione dell’imputato ad aiutare gli altri. Una devozione che lo avrebbe «cacciato nei guai».

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