Sono le case popolari di via Trevano. Strutture fatiscenti. Persiane che crollano. Edifici decadenti. Ci abitano persone in difficoltà, tossicodipendenti. Sabato l'ennesima rissa finita nel sangue
LUGANO - “Ti rompo la faccia”. Poi vola un pugno contro il vetro del portone, e si spacca. Nuove minacce. Urla. La gente che si affaccia. Un uomo che giace a terra con la mano ricoperta di sangue. Benvenuti in via Trevano 103, benvenuti nelle case popolari del Comune. Lì, sabato sera si sono recate le auto della polizia Cantonale, della Comunale di Lugano e un’ambulanza. Per calmare gli animi, per prestare soccorso al ferito. Forse una lite, o forse solo l’azione di un singolo individuo che è andato in escandescenza.
Chi abita nelle palazzine popolari di via Trevano, quelle di fronte allo skatepark, a pochi metri dallo stadio e dal cimitero, si è abituato agli schiamazzi e alle urla. «Qui ormai ci abita solo gente strana. Molti di loro sono tossicodipendenti. Continuano a metterli qui» racconta una signora.
A lei si uniscono altri inquilini. Tutti vogliono parlare, tutti vogliono raccontare del disagio di quelle palazzine, nessuno però vuole esporsi. «Non pubblichi il mio nome, mi raccomando» dice una signora che ci fa entrare nel retro degli stabili per mostrarci lo stato di abbandono delle strutture. Intonaci che perdono pezzi. Persiane vecchissime. Vetri vetusti con finestre prive di infissi. Balconi che sono ripostigli di oggetti di ogni genere. Lo spettacolo che si apre è alquanto desolante. «La manutenzione di questi edifici è totalmente trascurata. Va bene che gli affitti sono bassi, pago circa 1000 franchi per tre locali, però lasciarci così è disumano».
Gli stabili sono stati costruiti verso la fine degli anni ’40, nel 1948 per l'esattezza, dagli architetti Rino e Carlo Tami. Appartengono al Comune e sono protetti . «Un tempo ci abitavano i dipendenti statali, oggi ci abitiamo noi», racconta una signora che vive lì da diversi anni. Qualcuno li chiama i nuovi poveri. «Io abito qui perché con lo stipendio che ho, è l’unica soluzione che posso permettermi» si sfoga un’inquilina. Da anni dicono di chiedere interventi per migliorare la condizione degli stabili e modernizzarli. Ma soprattutto di non trasformare la zona in una sorta di ghetto dove inserire personalità problematiche o tossicodipendenti. «Ce ne sono diversi, almeno una ventina - ci racconta un signore - urlano, sbraitano, litigano e nei casi peggiori va a finire come sabato sera». Un’altra signora invece ci racconta di aver assistito alla scena di un tossico che in evidente stato di alterazione parlava con le automobili parcheggiate. «Volevo quasi avvicinarmi per chiedergli se avesse bisogno di aiuto, ma che ne so come avrebbe reagito».
Nel frattempo scendono altri inquilini. Vogliono parlare. Vogliono raccontare. Ma soprattutto non vogliono sentirsi esclusi dalle autorità alle quali da tempo hanno chiesto una valorizzazione dell’intera zona.
Il primo a parlare è Michele Bertini, responsabile del Dicastero sicurezza: «A mio modo di vedere è evidente che vi siano delle lacune nella presa a carico di situazioni di disagio sociale. Stabili o immobili malamente mantenuti facilitano l’attecchire di queste situazioni e qui c’è una responsabilità dei proprietari degli immobili, siano essi privati o pubblici».
L'amministrazione delle palazzine Tami è affidata alla GIPI Sa, società che appartiene alla Cassa Pensioni di Lugano, ed è l’amministratrice delegata, Ilaria Caldelari Panzeri, a spiegare la difficoltà di intervento di quella zona. «Ci troviamo di fronte a palazzine sicuramente vecchie, ma che sono inserite tra i beni culturali da tutelare, quindi sono quasi intoccabili. Non siamo autorizzati ad eseguire nessun tipo di lavoro, né di ristrutturazione, né di abbellimento, soltanto lavori di manutenzione ordinaria».
Ci sono però persiane cadenti, parti che perdono pezzi.
«In questo caso è possibile intervenire per aggiustare ciò che è rotto, ma se gli inquilini non si fanno avanti noi non possiamo saperlo. L’invito è quindi quello di segnalarci le cose che non vanno, di scriverci, di telefonare, o venire direttamente da noi e nel limite del possibile possiamo migliorare la situazione».
Dicono che hanno fatto delle segnalazioni...
«È da tanto tempo che non riceviamo lamentele o segnalazioni di questo tipo. Si tratta di appartamenti a pigione molto bassa ma tutti decorosi, posso comprendere che gli inquilini abbiamo paura di rivolgersi a noi perché temono che ulteriori lavori possano incidere sul prezzo dell’affitto».
Forse sarebbe il caso di cambiare la legge sulla tutela dei beni culturali, perché non tutto è meritevole di essere mantenuto.
«Questo però è un discorso politico e bisognerebbe parlarne con loro. La zona delle palazzine Tami è davvero strategica e certamente si potrebbero costruire appartamenti più confortevoli, nuovi e più adatti alle esigenze di oggi».
Gli inquilini si lamentano anche per la presenza di tossicodipendenti che causano qualche problema in fatto di convivenza.
«Nel momento in cui arriva la richiesta di entrare in un appartamento non possiamo certo chiedere alla persona se fa uso di droghe, sarebbe una violazione della sua sfera privata. Spesso veniamo a conoscenza che si tratta di un tossicodipendente solo in una fase successiva. Finchè una persona si comporta correttamente e paga l’affitto non possiamo di certo cacciarlo via».
Tra le foto che abbiamo scattato c’è anche un balcone pieno di oggetti.Gli inquilini si sono lamentati della presenza di questi soggetti?
«Anche in questo caso non sono arrivate segnalazioni. Se ci informano che alcuni inquilini danno fastidio è logico che interveniamo per cercare una soluzione».
«Tenere materiale sul balcone non è ammissibile. C’è però un limite di tolleranza. Quando si esagera solitamente interveniamo. Inviamo delle circolari in cui chiediamo di mantenere l’ordine. Dare però la disdetta mi sembra davvero esagerato. In fondo si tratta di essere umani; anche se fragili o problematici devono pur avere un tetto sotto cui dormire».