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CAMPIONE D'ITALIAIl Casinò di Campione non riaprirà

30.07.18 - 14:08
Nemmeno «sotto gestione controllata» e provvisoria, come invocano i sindacati: lo impediscono non i curatori fallimentari, ma una legge del 2016
Il Casinò di Campione non riaprirà
Nemmeno «sotto gestione controllata» e provvisoria, come invocano i sindacati: lo impediscono non i curatori fallimentari, ma una legge del 2016

CAMPIONE D'ITALIA - Al Casino di Campione non si tornerà a giocare: nonostante le proteste, i presidi, gli appelli a Salvini per salvare «un paese intero messo in ginocchio». Nessuna riapertura, neanche «sotto una gestione controllata, se è il caso», come hanno invocato lavoratori e sindacati riuniti davanti al Municipio: ignari di una legge che impedisce, nero su bianco, ogni tentativo di ripristinare le attività.

A spiegarlo sono i curatori fallimentari, nominati dal tribunale dopo la bocciatura del piano di risanamento, che si chiamano fuori da ogni responsabilità. «Pur nella consapevolezza delle gravi ripercussioni sul'intera comunità di Campione - scrivono Giulia Pusterla, Elisabetta Brugnoni e Sandro Litigio - ragioni di carattere giuridico, prima ancora che di carattere economico, evidenziano l'impossibilità per la procedura di avviare l'esercizio provvisorio».

A stabilirlo, anzitutto, la convenzione stipulata nel 2014 fra Casinò e Comune, secondo cui, davanti a un fallimento, la società di gestione è tenuta «alla immediata riconsegna dei beni mobili e immobili al comune», impedendo di fatto dunque ogni «esercizio provvisorio, non avendo più la disponibilità dell'azienda».

Ma non è solo questo. Il segretario generale Cisl Giacomo Licata si dice stupito del silenzio della politica e un motivo c'è, a giustificare reticenza e inerzia. Arriva dalla legge Madia del 2016, che vieta alle pubbliche amministrazioni - come appunto il comune di Campione, unico soggetto eventualmente legittimato a partecipare al capitale di una società di gestione, in un Paese dove il gioco d'azzardo è vietato  - «di costituire nuove società o di acquisire e mantenere partecipazioni in società che gestiscano i medesimi servizi della società fallita». 

 Insomma, «la ripresa delle attività non dipende in alcun modo dagli organi della procedura fallimentare». Le porte della casa da Gioco, dunque, restano chiuse. A meno di una difficile deroga alla legge. 

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