Il commento del vescovo della Diocesi di Lugano, Valerio Lazzeri, editore del Giornale del Popolo che da sabato non sarà più in edicola
«È un grande dolore, soprattutto se penso ai posti di lavoro che vengono a mancare, alle persone che rimangono senza una prospettiva immediata». Commenta così, il vescovo della Diocesi di Lugano Valerio Lazzeri, la notizia della chiusura del Giornale del Popolo del quale è editore.
Una chiusura che è «un atto dovuto», spiega, vista l'assenza dei fondi necessari per finanziare il quotidiano. «Il rischio di far lavorare i dipendenti senza poter pagare loro gli stupendi il mese prossimo era troppo grande», aggiunge.
A pesare, conferma il Vescovo, è stato il fallimento di Publicitas. «Ciò ha portato una situazione debitoria che mi rendeva impossibile andare avanti. Il bilancio era tale che per legge lo abbiamo dovuto presentare al pretore».
«Un settimanale? Ci abbiamo pensato» - Lazzeri ammette di aver preso in considerazione l'opzione di trasformare il GdP in un settimanale. Ma di averla dovuta scartare. «La possibilità è stata considerata. Ma esaminandone la sostenibilità abbiamo ritrovato problemi analoghi a quelli che ci hanno portato alla chiusura. Un settimanale non può avere 20 dipendenti o più, oltretutto ha una diffusione minore. Non era un'opzione possibile, almeno nell'immediato».
Il distaccamento dal CdT - Il Vescovo spiega le ragioni della recente divisione dal Corriere del Ticino (che attualmente risulta ancora azionista di minoranza del quotidiano). «Era partner di un contratto terminato il 31 dicembre. Loro hanno continuato a onorare gli impegni del contratto precedente, ma è evidente che non poteva esserci una presa a carico del GdP in quelli che erano tutti i suoi bisogni. Ci siamo trovati di fronte alla prospettiva di rinnovare un contratto che comportava comunque impegni e condizioni da rispettare. Non avevamo la garanzia di poterlo onorare».
Chiusura inattesa - Lazzeri sottolinea di non aver scelto la scissione dal CdT in previsione di una possibile chiusura: «Finita questa collaborazione avevamo davanti una strada in salita, con tante insidie. Un sentiero di montagna che abbiamo voluto intraprendere per non lasciare nulla di intentato. Eravamo forti della promessa di Publicitas. Che non ha mantenuto. E Publicitas era "la gamba" che sosteneva l'impresa quasi per la metà».
Nessun piano sociale all'orizzonte - A restare senza lavoro, conclude il Vescovo, sono poco meno di 30 giornalisti, per i quali al momento non è previsto un piano sociale: «Quando si presentano i bilanci è perché non ci sono più soldi. Fino a che non si esprime il pretore non si può decidere nulla. Per questo non possiamo parlare di un piano sociale. Ci fossero stati fondi avremmo potuto considerare lo scenario delle liquidazioni. Allo stato attuale possiamo solo attendere la sentenza di chi esaminerà i conti».
Lo stesso discorso vale per gli abbonati. «Anche loro, purtroppo, sono persone danneggiate da questa chiusura improvvisa. Entreranno in linea di conto tra coloro che dovranno essere risarciti, ma sarà sempre il pretore a dover decidere».