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CANTONE«Mio figlio sta bene, siamo in contatto con il DFAE»

08.10.17 - 12:54
Notizie confortanti arrivano circa lo stato di salute di Filippo Rossi, ma il rilascio potrebbe comunque richiedere del tempo
«Mio figlio sta bene, siamo in contatto con il DFAE»
Notizie confortanti arrivano circa lo stato di salute di Filippo Rossi, ma il rilascio potrebbe comunque richiedere del tempo

LUGANO - Mentre si attende l'esito dell'incontro tra il giudice venezuelano e i tre giornalisti arrestati in sud America, tra cui il ticinese Filippo Rossi, la famiglia di quest'ultimo, da noi contattata, ci conferma le informazioni sul suo stato di salute. «Sta bene», spiegano i familiari che attendono fiduciosi di conoscere l'evoluzione di questa vicenda.

Le notizie che giungono loro dal DFAE sono «confortanti» e non vi sarebbe da temere per il giovane giornalista ticinese. Il rilascio potrebbe comunque richiedere del tempo a causa della rigida burocrazia del paese sudamericano.

Nel frattempo, sulla pagina Facebook del giovane, si moltiplicano i messaggi di sostegno inviati da amici e conoscenti e non solo. «Forza Filippo! Il Ticino è tutto con te!», scrive Giorgio Fonio. «Forza Pippa, spero vivamente che tutto si risolva nel migliore dei modi, poi ci racconterai anche questa?», segue Henrik Bang. «Filippo sono super presente dietro le quinte! Tieni duro e mando tanta energia! Forza! Positivo che tutto si risolva velocemente e senza conseguenze!», aggiunge ‎Guya De Ambrosis. E così molti altri, speranzosi in una risoluzione veloce e indolore dell'accaduto.

Rossi, diplomato in scienze politiche all'Università di Zurigo, è un grande sportivo e ha partecipato nel 2014 alla Maratona delle sabbie (Marocco) e nel 2016 alla traversata del deserto di Gobi (Mongolia). Collabora regolarmente assieme a Di Matteo - originario di Bari - con il quotidiano milanese Il Giornale. Dal canto suo, Medina è fotografo per il giornale online DolarToday, una testata critica nei confronti del regime di Caracas.

I tre, lo ricordiamo, stavano conducendo un'inchiesta giornalistica nel centro penitenziario di Aragua, nel nord del Paese, meglio conosciuto come il carcere di Tocoron, ma sono stati fermati dalla Guardia Nazionale Bolivariana. Sono accusati di essere stati in possesso di apparecchi di registrazione non autorizzati.

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