Sandro Cattacin sul femmincidio di Bellinzona: «Un segno di emancipazione della donna potrebbe essere stato vissuto come una perdita di potere per l'uomo»
BELLINZONA - Uomini che uccidono le donne. Non è il titolo di un romanzo di successo, ma la dura realtà rievocata in Ticino, per l'ennesima volta, in due distinti e ravvicinati momenti. Il riferimento va al caso di Ascona del 23 di giugno e a quello delle ultime ore a Bellinzona. Questi uomini, almeno nelle ultime due circostanze, mostrano precisi tratti distintivi: provengono da realtà povere, meno urbane, sono in conflitto con la loro compagna/moglie e sono spaventati da una possibile separazione.
«Le aspettative nella coppia sono aumentate» - Casi che «sembrano isolati, ma ciclicamente tornano a ripetersi», ci spiega il Professore Sandro Cattacin, ordinario di sociologia all'Università di Ginevra. Situazioni che, nel contesto sociale moderno, trovano terreno fertile. «Viviamo in una società sempre più divisa - sottolinea Cattacin, dove il rispetto reciproco si fa cosa rara. Una società in cui convivono aspetti tra loro contrastanti: emancipazione e forme di sottomissione, famiglie di stampo patriarcale e famiglie moderne, pace e legittimazione della violenza».
Non è raro quindi che questa mancanza di rispetto, che si trasforma in atto di violenza, si manifesti tra le quattro mura domestiche: «La relazione tra uomo e donna è a volte stressante, difficile - aggiunge il sociologo -. Le aspettative oggi sono aumentate e nella coppia si raggiunge l'insofferenza molto più velocemente. Basta che la relazione non si evolva come da programma. Quando l'immagine dell'amore romantico non si realizza qualcosa si spezza».
Donna emancipata e uomo frustrato - Nel caso specifico ha un ruolo anche il fenomeno migrazione. «Alcune di queste famiglie provengono da situazioni più povere. E mentre la donna, catapultata in una società ricca e urbana, guadagna in emancipazione e ha più possibilità di crescita, per l'uomo questo trasferimento spesso equivale a una perdita di potere, di rispetto. Si ritrova, squalificato, ad avere qualcosa da dimostrare».
Le coppie che provengono da situazioni di marginalità, da realtà rurali, in cui è ancora forte l'impostazione patriarcale della famiglia sarebbero quindi più sotto pressione. «Questo spiega perché il "ritorno a casa" per tanti migranti uomini sia vissuto positivamente, come un ristabilire la propria posizione sociale, mentre per la donna venga vissuto male, come un problema».
Attenzione ai campanelli d'allarme - Quel che Cattacin ci tiene a precisare è come, spesso, gli episodi di violenza non siano isolati. Da qui l'importanza di intervenire prima che sia troppo tardi. Il fatto che per la coppia di Bellinzona ci fosse stato un "pre-allarme" poche settimane prima lascia perplesso il sociologo: «È assurdo. Se veramente l'uomo aveva già tentato di uccidere la compagna, e non è stato allontanato, qualcuno ha sbagliato nel giudicare la situazione».
«La violenza, mai giustificabile, a volte è legata all'abuso di droga o alcool, alla gelosia, o alla paura di essere abbandonati - aggiunge -. Nei casi di migranti, poi, il fatto che la donna possa lasciare il tetto coniugale è impensabile. Si torna al discorso della donna che si emancipa e dell'uomo che perde posizione sociale».
Tendenza a restare uniti - Vero è che è proprio la coppia, a volte, a voler restare unita. «Esclusi i momenti del raptus di rabbia, i coniugi/compagni ritornano alla sicurezza dell'ambiente famigliare, nel quale - conclude il Professore - per il 90% del tempo stanno bene».