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LUGANO«Mi sentivo soffocare, temevo di morire»

31.01.17 - 11:46
Il 40enne che sfondò l’ingresso del Pronto Soccorso racconta la sua versione dei fatti
Lettore tio/20minuti
«Mi sentivo soffocare, temevo di morire»
Il 40enne che sfondò l’ingresso del Pronto Soccorso racconta la sua versione dei fatti

LUGANO - «La mia lingua si era ingrossata, mi sentivo soffocare». È quanto racconta, davanti alla Corte delle Assise criminali presieduta dal giudice Mauro Ermani, il 40enne che lo scorso giugno ha sfondato con l’auto l’ingresso del Pronto Soccorso dell’Ospedale Civico di Lugano. Temendo di morire, si era dapprima rivolto a un suo tassista di fiducia, ma poi ha chiamato il 144 chiedendo soccorso per «un intossicamento».

Prima all’Italiano, poi al Civico - Secondo il 40enne non c’era però tempo. «Mi sentivo sempre di più soffocare» ribadisce, spiegando di aver preso le chiavi dell’auto e di essere partito da Melide alla volta di Lugano, «con le quattro frecce e il clacson pigiato». Dopo la mezzanotte ha inizialmente raggiunto l’Ospedale Italiano, dove avrebbe bussato all’ingresso principale, già chiuso. «Non c’era anima viva, mi è allora venuto in mente il Civico».

«È chiuso anche il Civico?» - «Sono arrivato all’Ospedale Civico – continua il 40enne – ma dall’esterno non vedevo nessuno». A quel punto con la sua auto l’imputato si è avvicinato all’ingresso del Pronto Soccorso, ha accelerato e ha sfondato entrambe le porte. Come mostra la videosorveglianza, frenando e riaccelerando dopo il primo impatto.

Le persone non si vedevano? «È una frottola» - In aula l’imputato sostiene che le persone all’interno del Pronto Soccorso, sedute sulle poltroncine situate lungo la parete, non si vedevano. Ma il giudice non ci sta: «Che le persone non fossero visibili perché nascoste da un palo – afferma – non è credibile, è una frottola».

«Ero convinto di essere stato avvelenato» - Quel giorno il 40enne era convinto che qualcuno cercasse di avvelenarlo. Pensava che si trattasse di un episodio architettato da persone che ruotavano attorno a un locale notturno da lui frequentato. «Gente con cui avevo avuto dei diverbi» spiega. Oggi l’uomo imputa il suo delirio all’uso smodato di cocaina, a cui ricorreva «per sopperire alle mancanze affettive».

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