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LUGANOCerca di sfuggire all’espulsione e cade da tre metri

05.09.14 - 17:46
Tre anni tra l’Italia e il Ticino, per restare legata a suo figlio, nato a Lugano. La storia di Lidia 25enne eritrea, ricoverata all'ospedale Civico
Cerca di sfuggire all’espulsione e cade da tre metri
Tre anni tra l’Italia e il Ticino, per restare legata a suo figlio, nato a Lugano. La storia di Lidia 25enne eritrea, ricoverata all'ospedale Civico

LUGANO – Tre anni di calvario, tre anni tra Italia e Ticino per dare un’identità a suo figlio, nato a Lugano ma mai riconosciuto formalmente. Due volte a Zurigo, altre due a Roma, poi Lodano, Tenero, Lugano, Riva San Vitale. I viaggi della 25enne eritrea Lidia Ghidey e suo figlio di tre anni sembrano interminabili, tra speranza, disperazione e delusioni. Poi ieri notte, quando per la terza volta in tre anni, la polizia si è recata presso l’albergo dove pernottava, per portala oltre confine, disperata ha tentato di fuggire, cadendo da tre metri. Ricoverata all’ospedale Civico di Lugano con una frattura al piede, è ora con suo figlio, con la nuova speranza che qualcosa cambi.

In Italia - La storia è di quelle complicate, legate essenzialmente a cavilli burocratici che spesso non tengono conto delle volontà e delle relazioni tra le persone. “Nel 2007 sono entrata in Italia, ho conosciuto un uomo metà eritreo e metà italiano. Ottengo il permesso di soggiorno. Dopo qualche anno sono rimasta incinta ma ho litigato con il mio compagno e sono scappata in Ticino, dove ho chiesto l’asilo. Per ottenerlo purtroppo ho fatto uno sbaglio, ho cambiato il mio cognome originale, come mi avevano consigliato. Sono rimasta qui a Lugano in attesa della risposta e nel frattempo è nato mio figlio. Purtroppo la risposta da Berna è stata negativa e dopo tre mesi dal parto, siamo stati espulsi e rimandati in Italia”.

 

Atto di nascita - Qui inizia il calvario della ragazza - che intanto rinnova il suo permesso di soggiorno italiano - non le riconoscono la maternità del figlio. Manca l’atto di nascita. Il figlio dunque non ha il permesso di soggiorno e per lo Stato italiano potrebbe essere anche il figlio di un'altra persona. Da quanto lei ci riferisce, dopo più di un anno dal suo ritorno in Italia dove se la cava con lavori di pulizie, Lidia torna a Chiasso per chiedere l’atto di nascita del figlio. Tramite un avvocato d’ufficio inizia la prassi burocratica. In attesa di risolvere la situazione resta in Ticino, poi la spediscono a Zurigo per prendere il documento sperato: “Mi hanno detto che c’era, mi hanno dato un foglio, assicurandomi che fosse quello giusto, e mi hanno spedito a Roma”.

In Italia l’atto non viene riconosciuto e siamo al punto di partenza. Lidia sempre in compagnia del figlio torna in Ticino, si rivolge di nuovo a Chiasso, è sostenuta per pernottare in alberghi a Lodano, Tenero, e poi a fine dicembre 2013 arriva il secondo viaggio a Zurigo. I fatti si ripetono, di nuovo a Roma e di nuovo senza l’atto di nascita.

 

Di nuovo in Ticino - Da sette mesi Lidia è di nuovo in Ticino per la terza volta in tre anni. Questa volta pernotta a Riva San Vitale ma “dieci giorni fa sono arrivati gli agenti della polizia. Mi hanno detto che avrei dovuto lasciare la Svizzera. Io ho detto che lo avrei fatto, ma volevo l’atto di nascita per dimostrare che lui è mio figlio. Loro mi hanno assicurato che me lo avrebbero dato, ma ieri notte sono arrivati alle 4 e mi hanno detto che dovevo andare. Non c’era nessun documento. Mi sono arrabbiata, ero disperata e ho tentato di fuggire, ma sono caduta”.

 

La disperazione - “Io non credo più a nessuno, alla polizia sia qui che in Italia - spiega Lidia con le lacrime agli occhi - senza il mio bambino non c’è la vita. Per tre anni la mia vita è stata questa (lo dice tenendo in mano decine e decine di fogli), ma io voglio solo un documento, lui è nato qui al Civico. Se me lo danno vado via in Italia anche se lì non è facile vivere. Non mi preoccupo di me, ma di mio figlio. Ha compiuto tre anni e dovrebbe andare all’asilo, invece con lui faccio solo viaggi. Io non voglio nulla. Sono stufa. Mi hanno detto di provare di nuovo con Berna. Ma ora che mi sono fatta male che faccio? Dove vado? Questo bambino non sa nulla, ma è nato qui, no? Invece mi trattengono, mi mangiano il tempo, mi fanno aspettare e poi mi spediscono via”.

 

La 25enne è stata portata in ospedale dagli agenti e ricoverata per una frattura al piede. Nel frattempo sono intervenuti i servizi sociali del Cantone per poter risolvere la situazione.

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