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CANTONE"Abbiamo scelto l’aborto: ecco come ci ha segnate"

28.01.14 - 07:24
Il prossimo 9 febbraio si decide se eliminare il sostegno alle interruzioni di gravidanza da parte delle casse malati. La votazione vista da due donne che hanno vissuto in modo opposto la stessa esperienza
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"Abbiamo scelto l’aborto: ecco come ci ha segnate"
Il prossimo 9 febbraio si decide se eliminare il sostegno alle interruzioni di gravidanza da parte delle casse malati. La votazione vista da due donne che hanno vissuto in modo opposto la stessa esperienza

LUGANO – “In Svizzera c’è il tasso di aborti più basso d’Europa. Ne registriamo dai 10.000 agli 11.000 all’anno. Bloccare il finanziamento dell’aborto da parte delle casse malati è sciocco”. Anne-Marie Rey, 76enne di Berna, ha abortito oltre mezzo secolo fa. E da allora si è sempre battuta affinché le donne svizzere avessero la massima libertà di scelta in questo ambito. Katia S, 34enne del Luganese, invece, ha vissuto la stessa esperienza all’età di 22 anni. Ma sul voto del prossimo 9 febbraio ha idee diametralmente opposte. “L’interruzione di gravidanza – dice – non va più sostenuta economicamente. Perché oggi si abortisce con troppa leggerezza”.       

Senza rimorsi - L'iniziativa ‘Il finanziamento dell’aborto è una questione privata’ parla chiaro. E chiede che le spese per l’interruzione di gravidanza e per l'embrioriduzione, salvo eccezioni, non siano coperte dall’assicurazione obbligatoria. Ora due donne che hanno abortito in due epoche completamente diverse raccontano i retroscena della loro scelta. Anne-Marie, che comunque in seguito metterà al mondo tre figli e che è stata per molto tempo presidente dell’Unione svizzera per la decriminalizzazione dell’aborto, è esplicita: “Io ho abortito perché in quel momento di bambini non ne volevo. Avevo 24 anni. Il metodo contraccettivo non si era rivelato efficace, e le mie priorità erano altre. Sono stata anche un po’ fortunata, perché avevo un padre ginecologo che mi ha saputo dare i consigli giusti. L’intervento? Piccolo. Non mi ha mai causato rimorsi o sensi di colpa. Mai”.  

Angoscia - Diversa la situazione di Katia. Dal suo racconto trapela una certa angoscia. “Io non avevo un lavoro e il mio fidanzato andava ancora all'Università. La situazione in cui eravamo non era adatta ad accogliere un bambino. Anche perché eravamo insieme solo da un anno e non potevamo ancora considerarci una coppia solida. Potendo tornare indietro, credo che lo rifarei. Ma quando ci penso, sento sempre un nodo alla gola. Non è stata una cosa indolore. Anzi”.

Depressione - Nei due anni successivi all’aborto, Katia soffrirà di depressione. “Già quando sono uscita dalla sala operatoria, appena risvegliata dall'anestesia, mi sono lasciata andare a un pianto disperato. Non ero ancora cosciente, ma sentivo che dentro mi mancava qualcosa. Ho pianto per mesi e non potevo nemmeno sentire nominare la cosa, neanche in generale. Il solo pensiero mi provocava tristezza e apatia. È in base a queste sensazioni che ritengo che l’aborto non debba essere rimborsato da una cassa malati. Deve essere in tutto e per tutto una scelta personale e convinta. Non deve essere facilitata in alcun modo”.    

Donne povere - Anne-Marie, però, non è d’accordo. E si appella alle cifre nude e crude. “In Svizzera il 76% degli aborti avviene con un metodo farmacologico, entro le prime cinque settimane di gravidanza. Il costo dell’intervento varia tra i 600 e i 1.000 franchi. Gli altri tipi di intervento costano tra i 1.000 e i 2.000 franchi. Per le casse malati queste sono cifre ridicole. Basse. Ma immaginatevi, invece, per una donna povera cosa può significare dovere sostenere in prima persona una simile spesa… L’aborto è un trattamento medico. Ed è giusto che le casse malati se ne occupino. Questo aspetto, tra l’altro, era già stato accettato dal popolo svizzero nel 2002, quando si era votato sulla soluzione dei termini. Perché dunque rimettere in discussione un sistema che funziona? Non è che da allora gli aborti in Svizzera siano aumentati. Non si è assistito ad alcun incentivo all’interruzione di gravidanza”.

Trauma - Insomma, per Anne-Marie quella sull’aborto è una questione che va affrontata senza alcun tabù. “Il trauma dell’aborto non esiste. Il trauma vero è avere una gravidanza non desiderata. Io ho avuto tre figli voluti. Sono anche nonna. E sono sempre stata serena. Perché una donna dovrebbe avere un trauma se decide, consapevolmente, di interrompere una gravidanza? È un’idea strana. Spesso dettata da convinzioni religiose”.

Coscienza - Secondo Katia, tuttavia, la religione non c’entra. “Il problema è la coscienza. Sai che comunque stai interrompendo una vita sul nascere. Pensavo che fosse stata una scelta ben ponderata. La verità è che il tempo per decidere in questi casi è sempre molto limitato e qualche dubbio ti resta sempre. Ed è proprio quel dubbio che poi non ti abbandona mai. Ti logora e compromette molti aspetti della vita quotidiana. Dopo oltre 10 anni, in maniera automatica, istintiva, mi provoca ancora gli occhi lucidi e una profonda tristezza”.

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