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TENERO-CONTRAI ricordi del pioniere: «Io, tra i primi a mettere piede in quel cantiere»

11.01.22 - 06:01
Diga della Verzasca: era il 1960 quando Felice Pacchiano inizia a lavorare al progetto. Oggi, a 81 anni, si racconta.
Fonte Famiglia Pacchiano
Felice si affaccia sulla diga. E i ricordi riaffiorano.
Felice si affaccia sulla diga. E i ricordi riaffiorano.
I ricordi del pioniere: «Io, tra i primi a mettere piede in quel cantiere»
Diga della Verzasca: era il 1960 quando Felice Pacchiano inizia a lavorare al progetto. Oggi, a 81 anni, si racconta.
Quel muro alto 220 metri sorgerà solo in seguito. «Quando c'ero io – spiega l'ex operaio – laggiù scorreva solo il fiume. Ero elettricista. Il mio compito era quello di portare energia elettrica dove serviva».

TENERO-CONTRA - «Io qui ho lavorato quando ancora la "grande muraglia" non c'era». Felice Pacchiano, 81enne di Paradiso originario della Campania, è emozionato, mentre guarda la diga della Verzasca che si sta svuotando. La struttura, che sarà presto sottoposta a manutenzione, nelle ultime settimane è decisamente sotto i riflettori. «Sono stato tra i primi a lavorare qui. Come elettricista. Nel 1960 e nel 1961».

Paesaggi nascosti nella memoria – Quel muro di 220 metri, uno dei più alti al mondo, diventato famoso a livello internazionale anche grazie a James Bond, doveva ancora essere eretto. «Quando sono arrivato io, là in fondo c'era solo il fiume. L'opera è stata ultimata nel 1965, ma lì si era proprio agli inizi di tutto. Ritornando sul posto in questi giorni mi sono reso conto che quei paesaggi io li avevo già visti, erano rimasti nascosti nella mia memoria. Ad esempio ricordo molto bene il ponticello sulla destra che tutti possono ammirare mentre osservano il grande vuoto». 

Come un grande villaggio – Era un ventenne, Felice, quando si lanciò nella grande sfida. «Un cantiere così immenso non l'avevo mai visto. E mai l'avrei rivisto in seguito. C'erano postazioni e baracche un po' ovunque. Il mio compito, assieme ad altri due colleghi, era quello di fare in modo che l'elettricità arrivasse ovunque ci fosse bisogno di lavorare con la corrente elettrica. In ogni angolo dell'odierno bacino insomma. Ad esempio nella falegnameria, nell'officina meccanica... Dovete immaginarvi che il cantiere era come un grande villaggio con varie postazioni». 

Il ponte sospeso – Un vero e proprio tuffo nel passato. Felice, che oggi è padre e pure nonno, sospira e i frammenti del suo vissuto tornano a galla. «Nelle prime settimane quelle montagne mi mettevano in soggezione. Non ero abituato, la Verzasca è una valle molto stretta. Alloggiavo a Gordemo, non molto lontano dal maxi cantiere. Se mi guardo attorno, vado a caccia dei punti di riferimento dell'epoca. Cerco ancora di scorgere i luoghi in cui sorgevano gli uffici del consorzio, ad esempio. A un certo punto un gruppo di operai abruzzesi aveva costruito un ponte sospeso, simile a quelli tibetani, in modo che chi lavorava potesse transitare da una sponda all'altra. Oggi ce lo possiamo immaginare se, dalla diga, guardiamo verso il Piano di Magadino. Camminarci sopra non era una cosa evidente, ti venivano le vertigini». 

«Un posto che non ho mai dimenticato» – Dopo due anni il lavoro di Felice presso il cantiere della diga si conclude. L'azienda in cui è impiegato lo sposterà a Giornico, dove seguirà un altro progetto. «Ma la diga della Verzasca non l'ho mai dimenticata. All'inizio eravamo in pochi, una settantina. Penso di essere stato uno dei primi a mettere piede in quel cantiere, considerando poi che negli anni successivi ci hanno lavorato in centinaia. Era tutto così nuovo, così enorme. Ancora oggi, a pensarci, mi emoziono».  

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