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STABIOIl sindacato con le "braghe bianche" tace e Unia accusa: «Sono al servizio dei padroni»

10.09.21 - 19:42
TiSin non risponde alle accuse di essere un "sindacato farlocco" finanziato direttamente dalle aziende
Tipress
Il sindacato con le "braghe bianche" tace e Unia accusa: «Sono al servizio dei padroni»
TiSin non risponde alle accuse di essere un "sindacato farlocco" finanziato direttamente dalle aziende
Vincenzo Cicero, co-segretario di Unia Sottoceneri: «Perseguono l'obiettivo di dividere il fronte sindacale e nei confronti dei dipendenti c'è un clima d'intimidazione assolutamente palpabile. I direttori uscivano a fotografare chi prendeva il nostro volantino»

STABIO - Il telefonino di Boris Bignasca stacca al primo squillo. Una, due, tre, quattro… dieci, venti volte... così per tutta la giornata. Nessuno dei tre esponenti del “sindacato” TiSin è disposto oggi a commentare. Né il capogruppo della Lega, che rimanda a una conferenza stampa che darà tra qualche giorno il presidente Nando Ceruso (già vice-segretario cantonale OCST), né la deputata Sabrina Aldi.

Restano dunque sospese nell’aria le pesanti accuse che i sindacati Ocst e Unia hanno mosso nei confronti di questa nuova organizzazione. La quale, assieme l’associazione Ticino Manufacturing (pure una sigla padronale di oscuri natali), ha stipulato dei contratti di lavoro peggiorativi con tre aziende del Mendrisiotto (la Cebi a Stabio, la Plastifil a Mendrisio e la Ligo Electric a Ligornetto). Per i due sindacati storici, TiSin è un “sindacato farlocco” nato per sabotare la Legge sul salario minimo.

Di più, secondo i rappresentanti dei lavoratori, TiSin sarebbe al soldo delle tre aziende. Avete delle prove?
«È un’espressione molto forte - risponde Vincenzo Cicero, co-segretario responsabile di Unia Sottoceneri - per far capire come loro siano al servizio di un’associazione padronale. Proprio perché un’azienda che vuole ridurre il salario minimo ha bisogno di un sindacato per siglare un contratto collettivo e il sindacato si deve prestare a questo gioco. Ossia concludere degli accordi che sono peggiorativi per i lavoratori. Evidentemente un sindacato del genere non è al servizio dei lavoratori ma dei padroni. Ci sono inoltre degli aspetti molto strani nel meccanismo di finanziamento».

Ci può spiegare meglio?
«Normalmente un sindacato si finanzia con i suoi iscritti».

In altri termini sarebbe masochistico che i lavoratori pagassero il sindacato per vedersi peggiorare le condizioni di lavoro?
«Esattamente, ma qui siamo a un ulteriore livello. Perché dove ci sono i contratti collettivi di lavoro, solitamente, viene concordata una trattenuta per il mantenimento del CCL e degli organi di controllo. Se un lavoratore si iscrive a un sindacato, il sindacato può rivendicare una parte di questo contributi. Nel contratto siglato da TiSin, invece, l’azienda si impegna a versare al sindacato una quota pattuita per ogni lavoratore. C’è quindi un finanziamento diretto per un sindacato che dimostra di essere solo al servizio delle imprese».

Dal vostro punto di vista che obiettivi persegue questo sindacato da voi definito “farlocco”?
«Innanzitutto l'obiettivo di dividere il fronte sindacale. Non a caso TiSin è stata fondata da quel movimento sindacale che ci accusa di lavorare per difendere i frontalieri e non i residenti. Ma poi cosa fa? Fonda un proprio sindacato per concludere accordi che di fatto favoriscono ancora di più il dumping salariale».

Occorrono però delle aziende che si prestano. No?
«Certo le prime interessate sono le aziende che vogliono risparmiare un bel po’ di soldi sottopagando e sfruttando i lavoratori con questo stratagemma».

Ultima domanda, i dipendenti coinvolti sembrano intimoriti. Che clima si respira in fabbrica?
«C’è un clima d'intimidazione assolutamente palpabile. Ricordo che, durante i volantinaggi, sono usciti i direttori responsabili a fotografare le auto dei dipendenti che prendevano il volantino. Le assemblee dentro le aziende - e abbiamo le prove di quanto diciamo - si sono svolte senza preavviso, nell’arco di un’ora e senza consegnare nella maggioranza dei casi la documentazione, quindi il contratto di lavoro, ed esigendo un voto davanti al padrone della fabbrica». 

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