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VICO MORCOTE«Io, bersagliato dai media, vi dico attenti a giudicare»

02.08.21 - 06:32
Intervista a tutto campo a Luido Bernasconi, protagonista della "Lugano da bere", un po' dorata e tribolata
Tipress
Luido Bernasconi
Luido Bernasconi
«Io, bersagliato dai media, vi dico attenti a giudicare»
Intervista a tutto campo a Luido Bernasconi, protagonista della "Lugano da bere", un po' dorata e tribolata
Dalla difesa dell'amicizia con Lele Mora: «I giornalisti non lo conoscono», alla politica oggi: «È anarchia sciacquata col collutorio della democrazia». Alla sua vicenda: «L'allora procuratore pubblico generale grazie a persone come me ha potuto ottenere l'attenzione dei giornali»

VICO MORCOTE - Se un regista alla Vanzina dovesse raccontare la Lugano ancora parzialmente “da bere” dello scorso decennio a lui spetterebbe di diritto il ruolo di coprotagonista. Un po’ per quel volto spesso corrucciato ma in fondo bonario, lui dice «sanguigno», a metà tra Aldo Fabrizi e Mario Brega; un po’ perché lui, appunto, Luido Bernasconi, 75 anni a settembre, ha vissuto sulla propria pelle quella che appare una stagione lontana, in fondo dorata ma anche talvolta tribolata.

È stato infatti molte cose Luido Bernasconi, tra cui, sindaco di Vico Morcote per 25 anni (più un quadriennio come municipale e, in precedenza, un altro come municipale a Stabio), presidente distrettuale del PLR di Lugano per un quindicennio, segretario dell’Ordine dei commercialisti del Canton Ticino per un decennio, presidente per un quinquennio del Football Club Lugano (suo fu il contatto con Enrico Preziosi per l’acquisto della società che a quel momento aveva bisogno di sostegni finanziari). Calcio, politica e affari. Sì, perché il suo ritratto sarebbe incompleto se non parlassimo anche della sua professione di fiduciario. E dei suoi guai giudiziari che ne segnarono, un lustro fa, l’uscita di scena: «Ma la mia fedina penale è integra da parecchi anni. Non ho niente da nascondere, però ho scelto di rimanere in disparte in quanto molti non hanno capito quanto successo ed è noto come facilmente si calano sentenze non giustificate sulle persone, senza la dovuta conoscenza dei fatti. Ho lasciato “sedimentare” il tutto» dice a proposito del suo silenzio mediatico dopo la condanna definitiva a 12 mesi sospesi condizionatamente per amministrazione infedele. È il culmine di una bufera giudiziaria che intrecciava, in un groviglio, la politica ai tributi arretrati nelle casse del Comune di cui era sindaco con i problemi sia professionali sia personali che, sottolinea, «nulla avevano a vedere con una vicenda sollevata, mediaticamente in modo esacerbante».

Oggi che motivi per bere o meglio brindare a Lugano ne sono rimasti assai pochi, lui potrebbe dire di essere sopravvissuto a quegli anni di euforia. «Potrei scrivere un libro su tante cose» dice sornione.

Iniziamo dalla politica allora. Lei che era di corrente masoniana…
«Non è una definizione corretta. Non mi sono mai considerato, lo si prenda tra virgolette, un “correntista”. Sono sempre stato molto libero nei miei pensieri e mi considero un libero pensatore “moderato”. Per certe mie idee mi considero più socialista di un socialista, per altre sono più a destra della destra. Mi definirei di centro-destra moderata, ma con un occhio sempre attento alla giusta socialità ».

Da ex politico e fiduciario, perché la spinta propulsiva dell’italiano che portava i capitali in Ticino è finita?
«Si deve partire dal perché l’italiano veniva qui…».

Segreto bancario sarebbe una semplificazione?
«Certo, c’è stato anche quello, assieme alle questioni di carattere fiscale. Ma soprattutto contava la fiducia nella stabilità politica delle  istituzioni svizzere e nella serietà degli operatori economici, commercialisti e fiduciari, della nostra piazza. Anche nella nostra categoria, purtroppo, c’è stata gente che o per buona fede nei clienti o per avidità personale ha fatto danni. Basta leggere le cronache degli ultimi 15-20 anni per trovare tanti fiduciari che ne hanno combinate di tutti i colori, ma anche tanti pseudo imprenditori stranieri che agivano qui come venditori di fumo».

È giusto dire che anche i fiduciari sono stati il motore della politica del fare a Lugano?
«Ma certo! All’inizio però ricordo che c’era una selezione nel nostro mestiere sulla base di titoli e qualifiche. In seguito, purtroppo, è stato un liberi tutti e poteva capitare che il gestore di una stazione di benzina da cambista, non di gomme ma di denaro, finisse con il mettere in piedi una società pseudo-fiduciaria senza avere il minimo requisito. Per questo ero stato promotore per la creazione dell’albo dei fiduciari a difesa della professione, lo scopo era quello di rendere pubblico il titolo di cui il professionista era in possesso (accademico o a livello di contabili federali e non altri) e ciò per garanzia e sicurezza del cliente. Oggi i titoli “riconosciuti” per l’esercizio della professione sono diversi, basti dire che nel piccolo Ticino le autorizzazioni per la professione superano le 800 unità».

Cosa la spaventa oggi?
«Mi fa paura che, un po’ in tutti in campi, vediamo una forma di gestione anarchica fondata sulla democrazia. Il nostro sistema attuale si basa su un’anarchia-democratica o democrazia-anarchica. Detto altrimenti e in modo più semplicistico, chi raggiunge il potere democraticamente, ritiene di poterlo usare come meglio crede, talvolta, purtroppo a scapito del cittadino».

Allude alla demolizione dell’ex Macello?
«Questo è uno dei molti esempi. È troppo comodo prendere il collutorio della democrazia per lavarsi la bocca. Dopodiché, non è una scusante, sbaglia solo chi agisce ed opera per cui ben venga se il potere nei giusti termini è usato per il bene comune».

A proposito di sbagli. Per la sua vicenda giudiziaria lei disse di «essere stato ammazzato mediaticamente». Cosa intendeva?
«Non ho problemi a dire che c’era un certo procuratore pubblico generale (John Noseda, ndr) che grazie a persone esposte e conosciute, come il sottoscritto, ha potuto ottenere l’attenzione dei giornali. Glielo dissi anche».

Si sentì un po’ cavalcato?
«Un episodio ci tengo a raccontarlo. Quando scoppiò la vicenda, alle 7 del mattino si presentarono a casa mia due poliziotti in borghese. Ero io, mia moglie e i miei figli piccoli. “Lei deve venire con noi” dissero. E aggiunsero: “Se deve prendere delle medicine, le porti con sé”. Io cadevo letteralmente dalle nuvole».

In casi simili si dice che i poliziotti facevano il loro dovere…
«Certo eseguivano quanto loro richiesto dai superiori e nel caso specifico dal Procuratore pubblico. Ma come mai fuori dalla Procura alle 7.30 del mattino già si trovavano i giornalisti, che già sapevano tutto, ad attendermi: chi li aveva informati? Ne seguì un cancan mediatico che nemmeno avessi ucciso qualcuno. Però ero Luido Bernasconi, di una certa corrente politica. Ero un bersaglio grosso».

Ma tutte queste vicende, nel 2021, è riuscito a digerirle?
«Certo, altrimenti mi sarei solo rovinato la salute per la gioia di chi ama vedere gli altri soffrire. Al mattino posso avere diecimila problemi ma cerco di alzarmi con il sorriso e la sera non ho mai portato a casa il mio bagaglio di delusioni». 

Con il senno di poi, ritiene di essersi esposto troppo?
«No, non direi. Mi resta invece l’orgoglio di avere molti amici: quelli che veramente mi conoscono per quello che sono; di “nemici” ritengo di averne veramente pochi e non penso sia un caso. Seppur non sempre in completa sintonia con le sue idee, sono stato molto amico di Nano Bignasca che ho conosciuto nel 1963, quando io avevo 17 anni e lui 18, e la nostra amicizia è durata fino alla sua morte».

Non si è mai pentito nemmeno della sua amicizia con Lele Mora?
«Assolutamente no! Poiché tutti coloro che parlano di lui, nel bene e nel male, compresi i giornalisti, non lo conoscono e non sanno chi sia veramente Lele Mora. Prima di emettere facilmente sentenze nei confronti di una persona, talvolta sarebbe opportuno mettersi davanti ad uno specchio e porsi delle domande, non puntare solo allo “scoop mediatico”. Mora è una persona che stimo ancora oggi e che sento regolarmente. Come altri ha commesso degli errori, ma è stato bersagliato perché era amico di Silvio Berlusconi. E anche per me resta un amico».

In conclusione qual è stata la sua più grande soddisfazione?
«Oltre beninteso alla famiglia, essere stato per 25 anni sindaco di Vico Morcote con investimenti di oltre 20 milioni e un grande apprezzamento da parte della popolazione».

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