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CANTONE«In alcune situazioni era come se gli anziani vivessero in reclusione»

03.03.21 - 06:00
Un anno di Covid sotto la lente di Giampaolo Cereghetti, presidente dell’ATTE: «Giovani non abituati all'incertezza».
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«In alcune situazioni era come se gli anziani vivessero in reclusione»
Un anno di Covid sotto la lente di Giampaolo Cereghetti, presidente dell’ATTE: «Giovani non abituati all'incertezza».
«Chi ha sofferto davvero tanto sono stati gli ospiti delle case di riposo – sostiene –. I grandi vecchi però già sapevano cosa significa fare un sacrificio per la collettività».

LUGANO - Da un anno vivono sotto una “campana di vetro”. Protetti il più possibile dal Covid-19, ma costretti alla solitudine e, in diversi casi, a perdere in maniera più celere capacità cognitive e motorie. Sono stati 365 giorni (e oltre) da incubo per gli anziani. Anche nella Svizzera italiana. «La vera sofferenza – sottolinea Giampaolo Cereghetti, presidente dell’Associazione Ticinese Terza Età (ATTE) – la si è vista tra gli ospiti delle case per anziani. C’è stata tanta protezione, ma in alcune circostanze è stata sfiorata una sorta di reclusione».

Sono parole forti. Si poteva fare diversamente?
«Col senno di poi è facile ragionare. Ci sono state persone che per settimane hanno mangiato nella loro cameretta. Senza vedere nessuna persona cara. Bisognava salvaguardare la vita di queste persone rese fragili dall'età, e allo stesso tempo attuare le misure per non compiere la violazione di un diritto fondamentale come quello legato alla libertà. Nell’emergenza si è fatto il meglio che si poteva. Ma sono riflessioni che andranno riprese più avanti, con serenità».

Il vaccino ha portato sollievo agli ospiti delle case per anziani.
«Era necessario. Ora, seppure con la massima prudenza, ci saranno degli accenni di normalità. Se penso agli anziani più giovani, e al resto della collettività, non posso però essere contento. I vaccini arrivano con troppa lentezza».   

Il bene supremo, per tutti, rimane la vita? 
«So dove si vuole arrivare con questa domanda. Alcuni preferirebbero vivere un giorno da leoni, piuttosto che 100 da pecora. Anche tra gli anziani c’è chi la pensa così».

Già. Ci sono persone di 90 anni che non hanno vissuto bene il confinamento. In fondo questa è l’ultima parte della loro esistenza…
«Quanto una persona ha paura di morire dopo una certa età? Ce lo siamo chiesti tante volte. Il problema è che abbiamo a che fare con un virus subdolo. Uno poteva decidere di “fare la vita normale”, ma poi andava a contagiare gli altri. Bisogna anche ricordare che molti di questi grandi vecchi hanno maturato, grazie alle esperienze personali, una saggezza e una resilienza encomiabili. Si tratta di persone che durante il loro cammino si sono misurate più volte con eventi traumatici, sanno cosa significa fare un sacrificio per gli altri».

È una frecciatina alle nuove generazioni?
«No. Tutti pagano uno scotto. Le nuove generazioni, in generale, finora non avevano vissuto grandi situazioni d'incertezza collettiva. Per certi versi, avevano trovato tutto piuttosto facile rispetto a chi è venuto prima. Viviamo in una società in cui tutti hanno acquisito la percezione che diventare vecchi è normalissimo ed è quasi scontato. E il paradosso è che in questa stessa società poi nessuno vuole invecchiare».

Diversi anziani si sono sentiti discriminati durante la pandemia. Cosa ne pensa?
«Soprattutto nella prima ondata le autorità hanno generalizzato troppo. Ci sono anziani e anziani. Ci sono persone che a 75 anni sono in formissima. I vecchi solo in Ticino sono 80.000. Ma non hanno tutti lo stesso livello di fragilità. È normale che di fronte a certe argomentazioni o a certi divieti qualcuno possa sentirsi limitato. Ci sono tanti giovani anziani che nel corso di quest’anno avrebbero sicuramente viaggiato, avrebbero fatto volontariato. Uno aspetta la pensione per vivere serenamente gli anni buoni. E poi viene fermato da una pandemia. Comprensibile lo sconforto».   

Il suggerimento di non vedere più i nipotini non sembra più essere tanto seguito.
«Conosco anche io nonni che rischiano. E posso capirli. Umanamente la pressione del cuore può superare quella della ragione. Non si può giudicare. Tanti continuano a rispettare questa raccomandazione però».

Come ha vissuto l’anziano medio questo inverno caotico, caratterizzato da continui cambiamenti di fronte?
«Quello meno digitalizzato paradossalmente è stato protetto. A soffrire è stata quella categoria di anziani iscritta ai social network. In alcuni si è generato un vero e proprio senso di smarrimento». 

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