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«Quando mi ha detto “ti ammazzo” qualcosa si è rotto»

CANTONE«Quando mi ha detto “ti ammazzo” qualcosa si è rotto»

25.11.20 - 09:16
Quella di Federica è solo una delle tante, troppe, storie di violenza. Che non è solo fisica, ma psicologica, verbale
Deposit - foto d'archivio
«Quando mi ha detto “ti ammazzo” qualcosa si è rotto»
Quella di Federica è solo una delle tante, troppe, storie di violenza. Che non è solo fisica, ma psicologica, verbale
Oggi è la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne. Il collettivo "Io l'8 ogni giorno": «Bisogna costruire il cambiamento. Tra le donne per le donne».

BELLINZONA - La prima volta è successo in discoteca. Hanno avuto una discussione. Lui le ha tirato una sberla. «Ho pensato si trattasse di un caso. Aveva bevuto. Abbiamo fatto subito pace. Non ci ho dato molto peso». Ma la ragazza avrebbe dovuto ascoltare il primo campanello d’allarme e pensare che “una volta era già una di troppo”. Quella della ticinese Federica* è una delle tantissime, troppe, storie di violenza. Nella quale lei si è sentita abbandonata.

«Una bella persona, gentilissima» - «Cinque mesi dopo l’inizio della nostra storia, sono andata a vivere da lui - racconta -. Avevo una situazione familiare difficile e sono scappata. Io 20enne, lui di cinque anni più grande. Era gentilissimo, mi ha detto “stai qua con me”. Quando ho fatto gli esami è arrivato a casa con un mazzo di fiori enorme. Una persona brava, altruista». Ma la prima vera discussione non tarda ad arrivare, qualche mese dopo. Ed è allarmante.

Urla e botte - Lui esce, lei si sveglia nel cuore della notte e non lo trova. Gli manda un messaggio, è arrabbiata. Lui torna a casa e urla. «Tu vuoi controllarmi, non ce la faccio più, te ne devi andare». Volano brutte parole e insulti. Fino a quando lui colpisce il gatto. Lei gli tira una sberla e la lite degenera. Lui la colpisce, lei cerca di uscire. Lui la rincorre e la riporta dentro casa. Chiude le porte. La ferma mentre tenta di salire le scale. La colpisce ancora. Lei gli morde il braccio e tenta di chiudersi in bagno. Lui entra e le tira una testata sul naso. Quando vede il sangue, va in panico. Dice di volersi tagliare le vene. Lei chiama la polizia. Finiscono in ospedale. Lei prima ammette di essere stata vittima di violenza poi, davanti a lui, nega. Tornano a casa insieme e lei va da un’amica. Ma lui la chiama, le manda messaggi, vuole tornare insieme.

Violenza psicologica continua - Federica cede. Torna da lui. Cambiano casa e lei rimane incinta. «Mi trattava male perché dormivo sempre - racconta -. Quando ho partorito, mi accusava di essere depressa. Mi umiliava. Non si occupava del bambino. Non c’è più stata violenza fisica, ma psicologica tanta. Mi insultava in continuazione». Poi un’altra discussione. Con un neonato di mezzo, questa volta lei non esita a chiamare subito la polizia. «Gli hanno fatto l’allontanamento da casa per dieci giorni, ma dopo tre lui era di nuovo lì».

“Ti ammazzo” - Quattro mesi dopo litigano di nuovo. «Sono scappata dalla vicina insieme al mio bambino, in pigiama com’eravamo». Lei denuncia e la portano alla Casa Santa Elisabetta di Lugano. Lui la chiama, le scrive. “Devi pensare al bene del piccolo, siamo una famiglia”. Lei torna a casa. Le cose non cambiano. Lui un giorno le dice “io ti ammazzo”. Qualcosa si rompe definitivamente. Lei va in polizia e lo manda via. Dopo due mesi lui ha il suo appartamento, nel palazzo accanto. «Di notte si attaccava al citofono - racconta Federica -. Mi spiava dalle finestre. Ho chiesto più volte l’intervento degli agenti». Poi si è trasferito e ora vede il bambino sotto il controllo dell’Autorità regionale di protezione (ARP).

«Non ha fatto nemmeno un giorno di prigione» - Federica ora si è rifatta una vita. E cresce da sola suo figlio. Ma è affranta. «Mi sono sentita sola. Ho pensato “a che serve chiamare la polizia e avere un ordine di allontanamento se non viene rispettato?”. Lui mi ha picchiata, minacciata. A mia madre al telefono ha detto “ti ammazzo la figlia”. E non ha passato nemmeno un giorno in prigione. Io e il mio bambino siamo finiti in una casa di sicurezza. Poi dallo psicologo. Ma quali sono le ripercussioni per lui?».

«La situazione è peggiore di come appare» - Domande a cui cercano risposte anche altre donne, come quelle del collettivo "Io l’8 ogni giorno". Che ha organizzato una serie d'incontri di discussione con lo scopo di poi elaborare un Piano cantonale d’azione di prevenzione e di lotta contro la violenza sulle donne in tutte le sue forme (violenza domestica, violenza sessuale e sessista, molestie e abusi sui luoghi di lavoro e nelle scuole) da sottoporre alle istituzioni. Nel 2019 in Svizzera 14 donne sono state uccise all’interno di una relazione di coppia. Sono inoltre stati registrati 19'669 reati di violenza domestica: 54 al giorno. E «la situazione è più grave di quella che si vede nei dati - spiega Angelica Lepori, del collettivo -. La maggior parte non vengono denunciati e non tutti portano alla morte».

Le proposte per cambiare - Oltre alla violenza fisica, c’è quella psicologica, verbale. Insulti, donne che vengono mortificate e sminuite. E per combattere il fenomeno, serve un cambio di passo, una prevenzione più capillare. «I dispositivi esistono, ma c’è una grande dispersione. Prima di ricevere aiuto bisogna “fare un giro” molto lungo», aggiunge Lepori. Tra le prime proposte avanzate dal collettivo, quindi, c’è quella di creare un numero a tre cifre, un servizio a cui le donne possano rivolgersi telefonicamente «per parlare e ricevere informazioni e aiuto su come muoversi, anche consigli legali». Un servizio svincolato dalla polizia che si occupa delle emergenze, gestito da personale femminile formato. Si discute inoltre della possibilità di chiedere aiuto tramite sms, oppure con una “parola d’ordine” da pronunciare in farmacia per comunicare il pericolo, sul modello della Spagna. «Sarebbe importante costruire il cambiamento dal basso - conclude Lepori -, costruendo tra le donne per le donne. Abbiamo l'esempio italiano di "Non una di meno", ispiratosi al messicano "NiUnaMenos". Quando le rivendicazioni vengono implementate, hanno più probabilità di essere ascoltate».

*nome noto alla redazione 

Il 25 novembre è la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne.

"Le vittime di violenza hanno diritto a protezione e sostegno!", scrive il Cantone sul suo sito. E rivolgendosi alle vittime elenca i loro diritti: maggiori informazioni sono disponibili qui.

In caso di emergenza, la vittima è sempre incoraggiata a chiamare immediatamente il 117 per allarmare la polizia.

Picchetto Casa delle donne 24h/24
Sopraceneri: 0848 33 47 33
Sottoceneri: 078 624 90 70

Per consulenza e sostegno
Servizio per l’aiuto alle vittime di reati
091 814 75 08 (8.00–17.00)
dss-lav@ti.ch

In casa ci sono tensioni e conflitti? Non ce la fai più, stai per scoppiare, per avere una crisi di rabbia? Hai il timore di fare del male a te stesso/a o agli altri?
Ufficio dell’assistenza riabilitativa
091 815 78 71 (8.00–17.00)
di-uar@ti.ch

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