È una delle discoteche più amate del Ticino. Messa alle strette dalle misure anti Covid. Parola all’amministratore.
«Non si tratta di incapacità imprenditoriale – sottolinea –. Ma di condizioni imposte dalle autorità, a cui chiediamo la copertura dei costi fissi, cifre che non potremo sostenere ancora a lungo».
«Se andiamo avanti così, chiudiamo». Lo aveva dichiarato a Tio/20 Minuti, un portavoce del Be di Lugano, una delle principali discoteche della Svizzera italiana. Le misure anti Covid-19, in particolare dopo il caso Woodstock, stanno mettendo a durissima prova chi si occupa della vita notturna su suolo elvetico. E il Be, come altri locali, rischia grosso. Ne abbiamo parlato con l’amministratore.
In pratica cosa sta succedendo?
«Se si prosegue con questa situazione, saremo obbligati a chiudere perché con le attuali restrizioni è impossibile lavorare. Il club ha una capienza di poco meno di 600 persone che, a rotazione, possono anche arrivare a 800. Impossibile coprire i costi fissi e variabili con una occupazione ridotta a meno del 20% della capienza. Ma parliamo di una probabile chiusura definitiva del club, e non del fallimento della Società che gestisce l’attività. Faremo fronte ai nostri impegni, come abbiamo sempre fatto».
Quali sono le sensazioni dei vostri collaboratori?
«Sono molto preoccupati e stanno vivendo male questo periodo. Abbiamo sei persone con stipendio mensile e circa altri 24 a chiamata. La maggior parte di loro ha una famiglia che deve sostenere. Nonostante a partire dal mese di marzo il personale abbia potuto usufruire delle misure del lavoro ridotto, ad oggi non sappiamo fino a quando ci verrà riconosciuto».
La vostra è tra le principali discoteche ticinesi. La vostra clientela si fa sentire in qualche modo?
«Siamo certi che ai nostri clienti manchi la nostra attività. Il nostro club è uno dei pochi in Ticino a proporre ospiti importanti. La chiusura del club obbliga i nostri clienti a trovare soluzioni alternative, a volte molto lontane da casa, con un notevole aumento dei rischi. Noi spendiamo molto per la sicurezza dei nostri clienti».
Non lavorate da febbraio. Avete aperto solo il 27 giugno. Poi avete richiuso. Come è stata quella serata?
«Il 27 giugno abbiamo riaperto il locale dopo quasi 5 mesi di inattività. Abbiamo potuto fare entrare meno di 300 persone, tutte adeguatamente tracciate tramite un’app da noi realizzata. Purtroppo abbiamo dovuto lasciare fuori dal locale tanta gente, che non ha preso bene la cosa. Comunque nel suo insieme la serata è andata bene».
Ora ci sono nuove condizioni per le discoteche. Avete scelto di non riaprire. Perché?
«Come detto, non ha senso aprire con una capacità ridotta a 100 persone. Inoltre non vogliamo mettere a rischio personale e clienti».
Nel caso in cui la situazione dovesse prolungarsi, avete un piano B?
«Purtroppo no. Il piano B è chiudere definitivamente il club».
Come potrebbero aiutarvi le autorità?
«Non chiediamo alcun sussidio. Solo la copertura dei costi fissi. La chiusura e la riapertura in condizioni impossibili non è stata decisa da noi. Non si tratta di una incapacità imprenditoriale, ma di condizioni imposte. Capiamo e condividiamo le scelte fatte dalle autorità, ma non possono lasciarci in queste condizioni. L’affitto dobbiamo pagarlo, le spese fisse idem, parlo di assicurazioni, elettricità, tasse sull’alcol, SUISA, eccetera. Anche i contributi sociali sono a nostro carico, ad eccezione dei contributi AVS e AD sulla parte di salario ridotto. Nel totale si tratta di cifre importanti, che non potremo sostenere a lungo».