Mauro Baranzini e l'economia nel tempo del Covid-19: «Una crisi così neppure negli anni '30».
«Il “dopo” sarà gestibile se usciremo da questa situazione nel giro di sei-otto settimane»
BELLINZONA - Economia di guerra e grave crisi? Niente di tutto questo anche se, passata l'ondata, l'emergenza generata dal coronavirus lascerà sicuramente sul territorio parecchi danni. In questo momento è giusto concentrarsi sulla salute. In questo momento si dovrebbe in ogni caso anche pensare al dopo, a un Cantone, a un Paese che dovrà essere rimesso in moto al termine dello stop forzato.
«Economia di guerra? No, non credo sia il caso di parlare in questi termini – ci ha spiegato Mauro Baranzini, ex decano della Facoltà di Scienze Economiche all'USI - Se, come sembra, la popolazione accetta e continuerà ad accettare abbastanza di buon grado le limitazioni e i sacrifici richiesti, allora non si possono definire l'economia di questo momento e quella del prossimo futuro come, appunto, “di guerra”».
Facciamo ordine: cosa rimarrà passata questa situazione complicata?
«È difficile prevederlo in questo momento. Tutto dipenderà da quanto durerà il periodo di cessazione dell'attività economica di tutti i settori, salvo ovviamente quelli chiave. Se si stesse parlando di sei-otto settimane, credo si potrà ripartire nelle medesime condizioni in cui siamo arrivati».
Fine aprile?
«Fine aprile o anche un po' di più, metà maggio direi. Se a quel punto ci saremo lasciati alle spalle il momento peggiore, tutto sarà gestibile. La crisi sarà invece estremamente più dura e profonda se il fermo dovesse prolungarsi».
C'è stato, nella storia moderna, un periodo simile a quello attuale?
«A livello economico? No. Neppure la crisi degli anni '30 è paragonabile. E questo perché quella scoppiò dopo che vari fattori si “accumularono” per anni. Questa invece è arrivata improvvisamente. C'è però una grossa differenza rispetto a quanto accadde in quel periodo: oggi le nostre autorità politiche, fiscali e monetarie sono meglio preparate. Il sistema bancario svizzero - quello europeo in generale – saprà reggere il colpo se i problemi non dureranno a lungo. Tenuto conto di ciò, credo che la disoccupazione potrà tornare ai livelli di inizio anno in pochi trimestri. Direi sei-nove mesi».
Se con la primavera dovesse risolversi tutto...
«Esatto. Ci sono due fattori di cui però tener conto per il dopo. Il cittadino post-crisi sarà diverso e, per paura, risparmierà maggiormente; ci penserà insomma due volte prima di andare a mangiare una pizza o in vacanza al mare. Le abitudini probabilmente cambieranno e lo stato dovrà intervenire per supportare le aziende in un momento di domanda debole da parte dei consumatori».
Il secondo?
«Ci sarà un cambiamento strutturale della domanda: saranno ricercati maggiormente i generi alimentari – con il comparto “bio” che sarà molto apprezzato - e quelli riguardanti la salute. Subiranno invece un duro colpo il settore del trasporto privato - non prevedo molti viaggi da 5'000 km per andare in vacanza - e quello relativo al tempo libero in generale. Saranno infine sborsati più soldi a livello sanitario».
Per farsi trovare pronti per un'eventuale nuova crisi?
«La Svizzera non ha fatto tagli selvaggi come altri Paesi, è vero; gli investimenti in questo settore saranno però grandi».
E saranno pagati dai cittadini con degli aumenti sulla cassa malati?
«Ah questa è una bella domanda. Toccherà ai politici decidere in che modo rimpolpare il settore sanitario in generale. Se far ricadere le migliorie sulle spalle dei cittadini o se, invece, trovare vie alternative. Un punto di cui tener conto è che da noi, sembra incredibile, faticano ad arrivare medicinali. Questo perché, negli anni, la produzione è stata spostata in Cina e India. Dovremo riappropriarci di questo settore; costerà e qualcuno dovrà pagare».
A voler essere ottimisti, dunque, la crisi ci servirà per migliorare alcuni aspetti della nostra economia...
«Vero, ma solo se, come detto, non sarà lunga. E se non sarà asincrona».
Prego?
«Mi spiego. Se nella sua espansione globale la pandemia dovesse essere asincrona, quindi svilupparsi in momenti diversi nelle varie parti del mondo, allora questo potrebbe segnare pesantemente la nostra economia. Se i Paesi - e penso a quelli occidentali - dovessero trovarsi ad affrontare il problema sanitario in periodi diversi, allora non si potrebbe attuare una politica economica comune».
Guardiamo agli Stati Uniti, che sembrano “indietro” di un paio di settimane rispetto a noi.
«Due settimane non fanno la differenza. Però l'esempio è giusto. Se oltreoceano il problema sanitario dovesse protrarsi fino ad agosto, significa che fino ad allora i nostri rapporti economici con quel Paese sarebbero problematici. E, nel caso, sarebbe un guaio: la bilancia commerciale è per noi in attivo...».