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CANTONE / BERNAPer ASNI la libera circolazione è «un inganno»

13.02.20 - 13:04
Per l'Azione per una Svizzera neutrale e indipendente nella Confederazione si sta sempre «più stretti»
tipress (archivio)
Fonte Ats
Per ASNI la libera circolazione è «un inganno»
Per l'Azione per una Svizzera neutrale e indipendente nella Confederazione si sta sempre «più stretti»

BERNA - La libera circolazione delle persone con l'Unione europea è un «inganno», a causa del quale nella Confederazione si sta sempre «più stretti». In questi termini l'Azione per una Svizzera neutrale e indipendente (ASNI) ha lanciato oggi la sua campagna a favore dell'iniziativa popolare "per un'immigrazione moderata (Iniziativa per la limitazione)" promossa insieme all'UDC.

Il risultato della votazione del prossimo 17 maggio sarà decisivo per il futuro dei giovani in Svizzera, ha sottolineato in una conferenza stampa a Berna il vicepresidente dell'ASNI, il consigliere agli Stati Marco Chiesa (UDC/TI). L'accordo sulla libera circolazione ha «fatto molto male» provocando «un'immigrazione netta che in tredici anni ha raggiunto il milione di persone» e mettendo in difficoltà «le nostre infrastrutture», ha aggiunto il ticinese.

Chiesa ha in particolare denunciato la situazione insostenibile del mercato del lavoro nel canton Ticino. Nel 2017, gli ha fatto eco la consigliera comunale UDC di Lugano Raide Bassi, nel cantone a sud delle Alpi v'erano più lavoratori stranieri degli svizzeri. Inoltre, la popolazione ticinese era confrontata con un rischio di povertà due volte più elevato (30,4%) rispetto alla media elvetica e il 38% dei giovani non ha trovato subito un posto di lavoro dopo aver ottenuto un diploma.

Secondo Chiesa, occorre cessare di dire che il Ticino è un caso a parte. Il cantone fa parte della Svizzera e come tutti gli altri deve poter offrire una prospettiva alla sua gioventù.

Simile al doping - La libera circolazione è per la Svizzera ciò che il doping è per il ciclismo, ha spiegato dal canto suo il coordinatore dell'ASNI per la Svizzera romanda, Kevin Granger. A suo avviso, si tratta di un inganno volto ad aumentare le prestazioni con effetti secondari catastrofici.

Come i ciclisti, la Svizzera ha avuto l'impressione che le sue performance aumentavano con la libera circolazione. Ma 20 anni più tardi dumping salariale, cementificazione intensiva, pensioni minacciate ed esplosione dei costi della salute portano gradualmente al «soffocamento» del Paese.

Con la libera circolazione, la crescita è continuata a livello nazionale, ma la ricchezza pro capite non è più aumentata, ha rilevato la liceale Stephanie Gartenmann, figlia del direttore dell'ASNI Werner Gartenmann.

La Svizzera non è la sola a voler riprendere il controllo dell'immigrazione. La Francia ha cominciato a farlo e il Regno Unito è uscito dalla Brexit a causa in particolare della libera circolazione delle persone, ha aggiunto la Gartenmann.

UE sotto pressione - Stando a Grangier, la Svizzera deve riprendere in mano la sua immigrazione. A differenza di quanto dicono gli ambienti economici e il Consiglio federale, se il popolo dicesse "sì" il 17 maggio la pressione sarà sulle spalle della Commissione europea. I commissari e le imprese dell'UE vorranno continuare a lavorare con la Confederazione, ha aggiunto.

Secondo Chiesa, il Consiglio federale afferma che tutto va bene, mentre i cittadini conoscono problemi nella loro quotidianità. Il Governo ha d'altronde riconosciuto che l'immigrazione rischia di cacciare i lavoratori più anziani dal mercato del lavoro. Per questo motivo propone una rendita ponte per i disoccupati di oltre 60 anni che hanno esaurito le loro indennità.

L'iniziativa per la limitazione esige che la Svizzera regoli in maniera autonoma l'immigrazione degli stranieri. Impedisce inoltre ogni nuovo trattato di obbligo internazionale per la libera circolazione.

Se l'iniziativa venisse accettata dal popolo, le autorità avrebbero un anno per negoziare la fine dell'accordo con Bruxelles. Se non si dovesse trovare una soluzione, il Consiglio federale dovrebbe uscire dall'intesa nel mese successivo, col rischio di far cadere l'insieme degli accordi bilaterali.

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