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CANTONE"Pratiche didattiche nella scuola dell’obbligo", resi noti i risultati

20.01.20 - 09:05
L’intelligenza, o meglio la sua definizione, è un tema che non fa l’unanimità
Depositphotos (ArturVerkhovetskiy)
Sono stati resi noti i risultati pubblicati nel rapporto "Pratiche didattiche nella scuola dell’obbligo".
Sono stati resi noti i risultati pubblicati nel rapporto "Pratiche didattiche nella scuola dell’obbligo".
"Pratiche didattiche nella scuola dell’obbligo", resi noti i risultati
L’intelligenza, o meglio la sua definizione, è un tema che non fa l’unanimità

BELLINZONA - Il Dipartimento dell'educazione, della cultura e dello sport (DECS) - tramite la Divisione della Scuola (DS) – ha reso noti i risultati pubblicati nel rapporto "Pratiche didattiche nella scuola dell’obbligo", realizzato dal Centro innovazione e ricerca sui sistemi educativi (CIRSE) della SUPSI.

La ricerca ha coinvolto 1300 insegnanti e quasi 6000 allievi ticinesi. Fra i capitoli più innovativi e interessanti c'è la correlazione fra prassi didattica e la concezione sulla capacità d’apprendimento: l’intelligenza, o meglio la sua definizione, è un tema che non fa l’unanimità.

La didattica scolastica, secondo i docenti dell’obbligo, deve in particolare coltivare la relazione con l’allievo. Al contempo le attività di “sviluppo professionale”, la collaborazione tra docenti e il “co-teaching”, ovvero il co-insegnamento, sono invece poco praticate nella quotidianità scolastica rispetto all’importanza che viene riconosciuta loro dai docenti stessi. Quest’ultimi ritengono infatti meno interessante l’insegnamento considerato tradizionale, come la “dettatura di definizioni”, l’assegnazione dei compiti a casa e la lettura ad alta voce.

Complessivamente lo studio CIRSE presenta non pochi elementi che possono essere considerati punti di forza dell’insegnamento obbligatorio in Ticino; primo fra tutti, la relazione empatica che il docente privilegia nei rapporti con gli alunni. In generale i docenti ribadiscono fermamente la loro dedizione nello svolgere la professione. Al contempo la ricerca ha evidenziato alcune fragilità da non sottovalutare: lo scarso utilizzo della valutazione come feedback costante capace di motivare l’allievo, la mancata consapevolezza sulla necessità di differenziare la didattica in base ai bisogni degli alunni o anche la scarsa propensione a collaborare coi colleghi. Non viene meno, nei docenti, la consapevolezza che un progetto didattico adeguato è costruito grazie alla collaborazione di tutti gli attori, ma al contempo gli stessi non ignorano i limiti che ostacolano la piena realizzazione dei presupposti sinergici e partecipativi.

Un capitolo senz’altro interessante, perché mai così ben evidenziato, è l’influenza del concetto d’intelligenza propria dei sulle loro pratiche didattiche. Sono due, stando alla ricerca, le visioni teoriche fatte proprie dai docenti. C’è chi la considera una funzione evolutiva e si attiva, di conseguenza, per stimolare l’apprendimento mettendo al centro della propria azione la costruzione del sapere. Per contro c’è chi invece vede l’intelligenza come attività innata e immutabile preferendo quindi, data la premessa, un insegnamento frontale dove non è richiesta una particolare partecipazione dell’alunno. Entrando nel merito dei tre livelli scolastici obbligatori, si constata che nella scuola dell’infanzia vi è una sostanziale coerenza tra ciò che si ritiene importante fare e ciò che in effetti si fa. La cura della relazione con gli allievi perché influente sul rendimento dei medesimi, il sostegno in caso d’insuccesso e lo stimolo costante all’impegno sono qui le pratiche didattiche effettive, ritenute molto importanti. Alla scuola elementare invece emerge che le attività meno utilizzate, nonostante siano considerate d’importanza strategica per una didattica adeguata, si riferiscono quasi tutte alla collaborazione fra docenti come il monitoraggio delle lezioni e ‘co-teaching’.

Parzialmente divergente, infine, la percezione della prassi rilevata alla scuola media dove la valutazione degli alunni non collima con quella dei docenti, o meglio i primi sostengono di non cogliere quanto i secondi affermano di praticare. Per esempio, secondo gli allievi i docenti organizzano meno di quanto dicano il lavoro in piccoli gruppi, utilizzano meno nuove tecnologie di quanto credano, mettono in atto tecniche di differenziazione meno sovente rispetto alle intenzioni dichiarate le risposte di allievi e docenti invece collimano per quanto concerne l’attenzione degli insegnanti nel dare consegne chiare prima di un compito o nella verifica della comprensione degli argomenti tramite domande.

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