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LUGANO A processo l'impresario che "piallava" le paghe: «Ma non sono un usuraio»

27.09.19 - 06:05
A giudizio davanti alle Criminali otto imputati per quello che l'Ocst ha definito «il più grave caso di dumping mai scoperto in Svizzera». La ditta ha arredato i più lussuosi alberghi
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A processo l'impresario che "piallava" le paghe: «Ma non sono un usuraio»
A giudizio davanti alle Criminali otto imputati per quello che l'Ocst ha definito «il più grave caso di dumping mai scoperto in Svizzera». La ditta ha arredato i più lussuosi alberghi

LUGANO - «Non sono stati rispettati i contratti collettivi, ma non sono un usuraio!» Entrerà lunedì prossimo in aula penale con questa convinzione il titolare della ditta di Chiasso che ha arredato alcuni dei più rinomati alberghi in Svizzera. Dal Kurhaus di Cademario al Principe Leopoldo di Lugano, in Ticino, ma poi anche l’appalto di una decina di milioni al Residence di Sawiris ad Andermatt e altri lavori effettuati negli stellati Château de Bonmont e Hotel Starling in Romandia... Sono i più importanti cantieri di una lunga lista di appalti che, dal 2008 (ma in particolare dal 2012) al 2016, l’imputato avrebbe ottenuto grazie a un uso sistematico del dumping. Una “piallata” sulle paghe degli operai-artigiani così da sbaragliare la concorrenza con offerte più basse.

Ressa sul banco degli imputati - Sarebbe il «più grave caso di dumping mai scoperto in Svizzera», secondo il sindacato Ocst che con la propria denuncia penale ha avviato l’inchiesta sfociata ad ottobre 2016 in due arresti. Alla sbarra della Corte delle Assise criminali, presieduta da Mauro Ermani, oltre al padrone della ditta figura infatti un corollario di altri sette imputati, prevenuti colpevoli di usura aggravata, falsità in documenti e ingiuria. Si tratta essenzialmente di figure amministrative, tra cui il fiduciario esterno che si occupava della contabilità aziendale, ma c’è anche il capogruppo degli operai, il “caporale” che ha fornito parte della documentazione, una decina di chili di carte, su cui poggia l’inchiesta. Per l’accusa, rappresentata in aula dalla procuratrice pubblica Chiara Borelli, sarebbe stato lui il “braccio”, l’uomo che faceva pressione sugli operai. Ma il padrone della ditta nega di avergli mai chiesto di minacciare chicchessia. 

Ci fu usura? - Il dibattimento si giocherà infatti sull’esistenza dell’usura, come ci anticipa l’avvocato Flavio Amadò che difende l’impresario: «L’imputato riconosce che c’è stato un mancato rispetto dei Ccl, ma ritiene che questo non costituisca il reato che gli viene contestato». Per il difensore mancherebbe il presupposto dell’usura, ossia una restrizione della libertà di scelta da parte della vittima. Gli operai in questione, questa la tesi, avrebbero liberamente accettato stipendi che erano comunque migliori di quelli percepiti in Italia. Moralmente riprovevole, ma in Svizzera non c’è norma penale che sanziona in modo mirato il mancato rispetto dei Ccl. Da qui la prevedibile richiesta di assoluzione.

Gli stratagemmi contabili - Verosimilmente più arduo sarà smontare il castello di stratagemmi contabili e non, grazie ai quali in busta paga figuravano cifre nettamente superiori, ad esempio 3’600 franchi mensili, rispetto ai 2’200 franchi effettivamente versati sui conti correnti dei lavoratori. Tra acconti mai ricevuti e restituzioni sottobanco di soldi in contanti, uno spettacolo indegno giocato sulla pelle dei lavoratori. 

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