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MENDRISIO La baby-gang momò: «Botte e sballo, ci divertivamo così»

07.08.19 - 09:40
Dal limbo al branco. Un'inchiesta giudiziaria fotografa il disagio adolescenziale. Ne parliamo con il Magistrato dei minorenni e un ex membro del "branco"
tipress
La baby-gang momò: «Botte e sballo, ci divertivamo così»
Dal limbo al branco. Un'inchiesta giudiziaria fotografa il disagio adolescenziale. Ne parliamo con il Magistrato dei minorenni e un ex membro del "branco"

MENDRISIO - «Mi alzavo la mattina, se mi alzavo, e non sapevo cosa fare. Iniziavo a bere. Ero disperato». A parlare è un 20enne del Mendrisiotto, ex membro della "banda" momò oggetto di un'inchiesta annunciata settimana scorsa dalla Procura. In manette sono finiti cinque giovani, altri quaranta sono stati denunciati.   

«Manipolati» dal capobranco - La banda di teppisti era dedita a spaccio, piccole estorsioni e furti con scasso. Delle accuse più gravi si occuperà il Ministero pubblico. Al centro dell'inchiesta un 23enne della regione, il "capobranco" descritto come un «leader manipolatore» da chi l'ha conosciuto. «Era molto bravo ad acchiapparti, ad entrare in sintonia» racconta l'ex gregario, minorenne all'epoca dei fatti. 

Botte e sballo - «Si serviva di me e altri quando c'era da menare le mani, da picchiare qualcuno che gli aveva fatto uno sgarro. Oppure ci chiedeva soldi, con delle scuse, e non li rivedevi più» ha raccontato il giovane a tio/20minuti. I collanti del gruppo erano «fare palestra per diventare "grossi", il gioco d'azzardo e poi lo sballo». Oggi il 20enne ritiene di essere stato «usato» dal branco. Assicura di avere messo "la testa a posto" dopo l'incontro con la giustizia. «Ho trovato un lavoro e sono uscito dal limbo». 

Nove minori coinvolti - L'inchiesta ha coinvolto in tutto 9 ragazzi minorenni all'epoca dei fatti. L'obiettivo degli inquirenti è «soprattutto riagganciare questi giovani alla società». Per il magistrato Reto Medici, il procedimento «offre uno spaccato interessante su un problema più generale». 

Boom di procedimenti - Gli incarti aperti a carico di minori sono esplosi in Ticino negli ultimi due anni. Da 874 nuovi procedimenti nel 2016 si è passati a 1222 nel 2017, a 1200 l'anno successivo. «I casi di quest'anno sono sostanzialmente stabili, la tendenza è purtroppo confermata» spiega il magistrato. «A preoccupare è soprattutto la diffusione degli stupefacenti e la difficoltà a inserirsi nel mondo del lavoro». 

«Ragazzi di ogni estrazione» - La recente inchiesta ne è la prova. I ragazzi coinvolti, tutti del Mendirisiotto, sono «un gruppo eterogeneo dal punto di vista sociale» spiega Medici. «Ad accomunarli non è la situazione economica ma piuttosto delle abitudini di vita». Ad esempio «quella di uscire la notte e dormire a lungo di giorno, in assenza di un'attività scolastica o lavorativa» spiega il magistrato. Un limbo in cui, secondo le statistiche, si trovano sempre più giovani ticinesi. «Il consumo di stupefacenti e alcolici diventa per molti un diversivo, ma anche un modo di realizzarsi e ottenere un riconoscimento». 

Dinamiche di gruppo - La banda, appunto. «Le dinamiche di emulazione e di gruppo rivestono un ruolo importante» nell'inchiesta, come anche la figura del capobranco maggiorenne e manipolatore. «Non parliamo comunque di un'organizzazione stabile, ma di giovani che condividevano luoghi di aggregazione, le stazioni e alcuni bar». Qui, spesso sotto l'effetto di sostanze, i "ragazzacci" concepivano piccoli furti con scasso o altre imprese notturne.

«Fiduciosi sugli interventi» - Pestaggi, minacce e ricatti verbali – di qui l'accusa di estorsione – completano il quadro poco edificante. «Non è stato un lavoro facile. In diversi casi abbiamo attivato degli educatori e persino il collocamento in strutture rieducative» racconta Medici. «Con il tempo però abbiamo iniziato a vedere risultati positivi. Sulla possibilità di recidiva, sono fiducioso».   

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