Ecco uno degli oltre 150'000 veicoli di seconda o terza mano che ogni anno dalla Confederazione prendono la rotta dei Balcani, del Medio Oriente o dell’Africa. Dietro le quinte del fenomeno
BELLINZONA – Un furgone della Posta svizzera, targato Serbia. Lo hanno immortalato di recente lungo un’autostrada di Belgrado. È uno degli oltre 150'000 veicoli usati che ogni anno dalla Confederazione prendono la rotta dei Balcani, del Medio Oriente o dell’Africa per rifarsi una seconda vita. «Ogni dieci giorni – spiega Mohammed Mayjed, titolare della Auto Inex SA di Serocca d'Agno – da Savona, in Liguria, parte una barca con centinaia di auto dirette verso la Libia. È solo un esempio. Ce ne sarebbero tanti altri».
C’è chi accetta di tutto – La Auto Inex fa parte della decina di ditte che puntualmente visita i garage della Svizzera italiana a caccia di vetture da esportare e rivendere all’estero. Spesso sono anche i proprietari stessi delle auto a rivolgersi direttamente a queste aziende per liberarsi del proprio veicolo. «Io lavoro tanto con il Libano – precisa Mayjed – lì vogliono soprattutto furgoni commerciali. Solo a benzina. Perché in Libano il diesel non entra. In generale Libia e Libano non si fanno tanti problemi legati all’inquinamento. Accettano di tutto».
Limitazioni in aumento – Altrove, non è così. E, infatti, negli ultimi anni, alcune nazioni hanno posto determinate restrizioni per quanto riguarda il livello delle emissioni. «In Africa qualsiasi auto va bene – sostiene Ali Mohsen, responsabile della Gmr Cars di Quartino – ma in nazioni come il Kosovo, ad esempio, non tollerano più veicoli con oltre otto anni di vita».
Cresce la sensibilità ambientale – Si tratta di un trend che coinvolge altre nazioni balcaniche. «Sta crescendo la sensibilità ambientale – riprende Mohsen – in alcuni Stati non vengono più viste di buon occhio le auto di categoria Euro 3 o Euro 4. Solo Euro 5. Tutto per via delle emissioni dei gas di scarico».
Il curioso marchio “CH” – Fatto sta che capita di farsi un viaggio in Albania o in Benin, tanto per citare due nazioni a caso, e trovare macchine con la targa locale, ma con ancora l’adesivo “CH” sulla carrozzeria. In certe occasioni si vedono circolare addirittura mezzi pubblici che fino a qualche tempo fa viaggiavano su suolo rossocrociato. Dal punto di vista legale, è tutto in regola? Qualche dubbio lo si potrebbe avere, visto che a volte queste macchine non superano nemmeno più il collaudo in Svizzera.
Non c’è nulla di illegale – Aldo Barboni, capo della Sezione cantonale della circolazione, fa notare come queste decisioni spettino successivamente alle autorità dei singoli Paesi in cui le auto vengono esportate. «Siamo a conoscenza del fenomeno – ammette – tuttavia, dopo la messa fuori circolazione del veicolo presso la nostra sezione, il proprietario può farne ciò che vuole. La può regalare, la può tenere in garage, oppure la può rivendere a queste aziende di esportazione».
Onda verde – All’inizio del 2000 erano poco più di 70'000 le vetture di seconda mano che dalla Svizzera finivano all’estero. Il vero boom dell’export di auto si è verificato quattro-cinque anni fa. Ora l’onda verde, se così la possiamo definire, rischia di rompere le uova nel paniere a chi su questi affari ci campa.
Prezzi e guadagni – Ma quanto si guadagna da un business del genere? «Di certo non è più come qualche anno fa. Gli affari sono un po’ calati a causa di tutte queste limitazioni» sospira Mayjed. In alcune circostanze precise, piuttosto rare, l’acquirente può arrivare a spendere anche diverse migliaia di franchi. Accade soprattutto in Oriente e con marchi di alta qualità. «Ma ci sono anche nazioni in cui non riesci a piazzare una macchina per più di cinquecento franchi» conclude Mohsen.